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VEDESTI UN UOMO
IN FONDO ALLA VALLE...
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La
guerra
di Piero
di
Matteo Tassinari
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Beata
è la guerra,
chi
la fa e chi la decanta,
ma
più beata ancora è
la
guerra quando è santa
(Rino Gaetano) |
Un modo per
imbalsamarti
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Questo nostro mondo è diviso
in vincitori e
vinti, dove i primi
sono tre e i secondi tre miliardi.
Come si può essere
ottimisti?
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"Un modo per imbalsamarti è quello
di mettere una tua canzone, magari su un'antologia scolastica. Non dico che non
ci tengo, perché anch'io ho il mio amor proprio, anch'io sono un piccolo
borghese, e in qualche misura mi hanno pure istituzionalizzato, quindi figurati
se non ci tengo. Però c'è il rischio di rimanere ingessati, impalcati in figure
che senti non corrisponderti. E questo arreca fastidio". Un tema, da
sempre molto caldo per Fabrizio, quello d'essere libero da ogni
condizionamento culturale o anche solo intellettuale, dove lo spazio per
sparare cazzate è maggiore. L'importante per lui era avere il proprio distacco
da tutto, dalle bollette, le file, le visite, il mostro della burocrazia, affinché ognuno abbia integra la propria libertà. Biagio Buonomo, uomo
di grande cultura e acutezza intellettuale e scrittore oltre che autore del
libro: "Fabrizio De André. Le storie, la storia questa canzone",
costituisce il vertice più alto della poesia deandreiana, insieme, a "Crueza de mà", dove il mescolio di dialetti e note
e strumenti mediterranei, odori e visioni, si accavallano fra di loro fino a formare un incantevole arco vitale. Non per niente fu quella che fece
nascere in Fernanda Pivano il desiderio di conoscerne l'autore per poi
innamorarsene e viceversa da parte di De André. Da qui nacque la collaborazione
sui testi di Edgar Lee Master e una sorta di collaborazioni coi poeti della
Beat Generation.
FABER AVEVA AFFRONTATO il tema della
guerra in modo molto diretto già con “Laballata dell'eroe”,
ma
è solo con “La
guerra di Piero” che
riesce a colpire nel segno. Tant'è che le due canzoni verranno
proposte nel 1964 in uno stesso 45 giri. La ballata nasce dalle
storie raccontate al piccolo Fabrizio dallo zio Francesco che aveva
fatto la campagna d'Albania e poi, preso prigioniero, aveva trascorso
due anni in un campo di concentramento a Mannheim correndo anche il rischio di passare per il forno crematorio. Da quella esperienza
non era riuscito a riprendersi mai più e quel poco che ne raccontò, di
malavoglia, su sollecitazione di Fabrizio e del fratello Mauro, bastò per
lasciare un segno profondo e indelebile nell'animo dei due ragazzi.
Te
ne vai triste
come
chi deve...
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A
volte penso che le ferite
peggiori
che infligge la guerra,
non
sono quelle ricevute
sui
corpi, ma quelle che
rimangono
nella mente
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LA CANZONE RACCONTA di un ragazzo di nome Piero che deve lasciare i suoi campi, le sue bestie, la sua fattoria d'inverno, la sua famiglia, per avviarsi con passo già stanco verso la guerra, con l'animo di chi è costretto a farla "te ne vai triste come chi deve...". Punto di riferimento stilistico è sempre quello di Georges Brassens, il chansonier francois, l'uomo che lo ha sempre stregato coi suoi ritmi da marcetta anarchica che colpiva con sarcasmo ed ironia, lucido e puntuale. Versi colti come rose e girasoli "costretti" a guardare il sole, tanto a loro il sole non gli fa male agli occhi. A nulla valgono le voci dei morti in battaglia: "chi diede la vita ebbe in cambio una croce" che gli dicono di fermarsi. E così, mentre il tempo passa "con le stagioni a passo di giava" si ritrova, in primavera, a varcare il confine a lui sconosciuto. Per inciso, la giava è un ballo nato ed entrato in gran voga in Francia dopo la prima guerra mondiale, il cui nome deriva dall'isola omonima. Per avere un'idea del suo ritmo, si pensi ad una specie di misto tra una mazurkaz e un valzer viennese.
SEGUE LA STROFA che è
marchiata a fuoco nell'anima di chiunque l'abbia ascoltata che "aveva
il tuo stesso identico umore ma la divisa di un altro colore".
Due
uomini resi diversi e separati solo da un pezzo di stoffa, da
onorificenze per altri morti in altre guerre di Piero. Le immagini
usate lungo tutta la canzone sono di una bellezza lancinante ma
queste, nella loro semplicità, se possibile, le superano. L'anima
portata "in
spalle"
perché
non si può andare in guerra avendola nel cuore e poi il nemico,
esattamente uguale a te, con il
"tuo
stesso identico umore",
solo
"la
divisa di un altro colore e mentre marciavi con l'anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle". Che cos'è la guerra, se non un omicidio collettivo, di gruppo, una forma di brigantaggio tanto più infame quanto più estesa, un massacro a Cielo aperto. Come al tempo delle lance e delle spade, dei muscoli e scudi, elmi e cavalli, così anche oggi, nell'era dei missili e testate nucleari, ad uccidere, prima delle armi, è il cuore dell'uomo. Come dice il poeta Vincenzo Monti: "Dell'innocente sangue versato in scellerata guerra conta il Cielo le stille e le schernite lagrime tutte della stanca terra".
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Non ho idea quali armi serviranno per la terza Guerra Mondiale, ma la quarta sarà combattuta coi bastoni e pietre |
IL DOVERE IMPONE a Piero di uccidere il nemico e così si appresta a fare. Ha solo un breve pensiero, un'incertezza, un'esitazione, un impaccio d'amore, uno scrupolo, un tentennamento che gli costerà il sangue caldo che scorre nelle vene di Piero, un indugio sul come e magari anche sul perché sparare a quell'uomo in fondo alla valle? Perché uccidere quella persona che neanche sapeva cosa avesse fatto nella sua breve vita. Quest'incertezza gli sarà fatale, divenendo deleterio come un chiodo da catafalco questo sua impasse d'amore, di vita ardente, ed era maggio, nel frastuono colorato di un campo di papaveri rossi. Il nemico, uguale a lui ma con maggior paura in corpo, lo vede, spara e lo uccide senza neanche pensarci, quasi, viene da pensare, per puro istinto di conservazione. Ninetta mia morire di maggio, ci vuole troppo coraggio. Piero capisce subito di essere stato colpito a morte e sente, mentre cade a terra le forze venire meno, che il suo tempo dilegua rapido, non gli basterà nemmeno per "chieder perdono per ogni peccato". Muore così, con un pensiero alla sua Ninetta e con l'amaro dispiacere di morire di maggio, il fucile ancora in pugno e in bocca parole "troppo gelate per sciogliersi al sole". Ora dorme sepolto all'ombra e in compagnia di mille papaveri rossi, poco più in la un altro Piero, poi un altro ancora, poi poco più in la, un altro ancora. Un campo che apre tutto alla vita, ma fra i suoi arbusti nasconde morte di guerra, quel drago proveniente da tutti i mari glaciali, un'ultima Thule dove ogni desiderio sarà spento per sempre.
La guerra di tutte le guerre
LA CANZONE NON EBBE un successo immediato, al punto che De André disse: "Quando uscì La guerra di Piero, rimase praticamente
invenduta. Divenne un successo clamoroso solo cinque anni dopo, con il boom
della protesta, con Dylan, Donovan e compagnia folk beat generation". S'incanalò
nelle serie dei grandi successi mondiali, da lì, De André, spiccò il volo,
artisticamente. E’ chiaro il riferimento dell'arrivo al successo
delle canzoni di Dylan in Italia. Dylan in realtà aveva scritto “Blowin in the
wind”, il suo manifesto pacifista, nel 1962, un anno prima della Guerra di
Piero. Sono stati proposti e approfonditi richiami 19 (magari fortuiti) tra “La
guerra di Piero” e una poesia, “Le dormeur du val” (L'addormentato nella
valle), di Rimbaud e una canzone di Gustave Nadaud, “Le soldat de Marsala”. La
poesia di Rimbaud, scritta nel 1870, descrive un giovane soldato immerso nella
natura. Sembra dormire nel sole. Ha però due fori sul costato. È morto. Oltre
all'analogia più generale, tematica, sono stati indicati tratti lessicali
precisi, dallo stesso "giovane soldato" che "dorme" al "ruscello".
Inoltre, anche nella poesia di Rimbaud il tono narrativo è interrotto da
un'invocazione del narratore. Una canzone semplice, eppure topica proprio per la sua immediata
comprensibilità, per la sua immediata cognizione. Come se quella di Piero, per
spontanea creazione umana, fosse la guerra di tutte le guerre.
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Jean Nicolas Arthur Rimbaud
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"Le
roi boîteux"