venerdì 27 ottobre 2017

Conte al Mocambo




AVVENTORI 

AVVENTURIERI



 di Matteo Tassinari 

 Era un mondo adulto,
si sbagliava da professionisti  
Messico e nuvole,
la faccia triste
dell'America
TRA I PICCOLI GRAN DI miti creati dalla poesia in musica di Paolo Conte, ce n'è uno che più di altri sembra poter racchiudere l'intero universo dei suoi primi lavori. Una parola sola basta a designarlo, parrebbe impossibile, una stilla a spiegarlo, illustrarlo come un uomo sandwich in giro per la città fantasma e ostica, continuando a mangiare e a bere sempre nelle ore sbagliate. E' una parola che contiene un mondo completo d'universo e cosmi gravitazionali, nostalgie di certe infinitudiniAnzi, due mondi. Uno dei quali è coperto di nebbie e brinafoschie e caligine, e anice al Tropical Habanera del Politeama che riempiono di dolcezze, le perfette pianure, inamenando interni motel dove cercano teneramente casa gli amori illeciti, artificiosi, complicati, spesso tristi e dandy, atmosfera da tornei di scarpe da mocassino del secolo scorso, s'abbracciano come rondini le nostre province in certe ore e in certi venti di allegri brindisi conditi da pianti e flatulenze di pittori incompresi e mammoni. Scoregge che, oggi, mi mancano. Mi piaceva quel puzzo, se non altro era sincero, e ricordava anni belli. Anni in cui parecchi naufraghi di terraferma tentano di avvistare le luci di qualche bar al quale approdare e assaporare certe bionde procaci di parrucca truccate, impudenti e distratte le giarrettiere sospirate e sudate, ora posso annusarle.


Pioggia e nebbia delle  
esotiche province

Come mi vuoi, cosa mi dai, dove mi porti...   


L'ALTRO MONDO, invece, si muove a passo di rumba, a volte rallentato nella malinconia del tango e splende di mare e di sole, di aromi e afrori, di cieli e di linguaggi più grandi e colorati dei nostri, di palmizi dondolanti di avventurieri e circumnavigatori. Due mondi che, a ben vedere, non sono mai nettamente separati. Sono anzi la loro interazione, il loro reciproco rilanciarsi a costituire l'originalità di molte delle più belle canzoni di Conte. Perché anche i testi più smaccatamente esotici, hanno il sapore amaro d'un sogno d'evasione o forse distrazione che nasce nel fondo della provincia, dai ricordi di focolai e polenta, castagne e vin brulè, e non sa veramente uscirne da questo mondo, a meno di un approdo nel solo luogo esotico di Conte che non è puro sogno: Genova. Genova tra i colori e gli odori bastano d'altronde a far ritrarre spaventato il sognatore di oceani e degli abissi, delle verdi milonghe in un quadro di piogge e nebbie. Pensare che anche le più chiuse, claustrofobiche "storie" della provincia vivono sospese vertiginosamente sulla eventualità di un'apertura esotica che è in attesa dietro ogni angolo, nell'ombra di qualsiasi cortile, fra le ombre di probabili mansarde, come fra i pertugi di una qualsiasi cantina, fra le canzoni di un mancato avvocato astigiano. Bop.


Mocambo
Il Mocambo in fiore dopo precipizi di solitudini 

La ricostruzione del Mocambo

C'E'UNA PAROLA che meglio di altre contiene tutto questo: Mocambo. Trovata geniale ché è difficile immaginare idea più provinciale e di cattivo gusto di intitolare così un locale. Il che non basta però a togliere alla parola una sua vera risonanza di mondi diversi e grandi, un sentore infinito di caffè che va a convogliarsi in un ritmo di rumba. È il luogo, il bar Mocambo, in cui due dimensioni si mescolano e si confondono e rivelano d'essere una sola, in cui la tristezza marron di un tinello e la gioia fulva di una pelle di coccodrillo convivono, confinano si scambiano le parti, fino a ridurre il vasto mondo a un catalogo di kitscherie e a restituire alla piccineria provinciale una sua orgogliosa grandezza, come uno Sparring Partner, ma solo per amore. Nel 1979 i primi tre dischi di Paolo Conte avevano già ben delineato la strada che volevano percorrere, quella che porta alla Verde Milonga inquieta che offre accordi di tregua tra dita e tastiere, l'intreccio che fa vibrare lo stato passional y teatral in modo suggestivamente prodigioso. Di più non so.


Tristezza
marron tinello

Un mondo di perline
colorate, ti darò
NON E' UN CASO, QUINDI che una trasmissione radiofonica realizzata dallo stesso Conte e da Diego Cugia andata in onda su Radio Uno in dodici puntate abbia avuto il successo riscosso. La trasmissione nasceva infatti come un cocktail di situazioni tipicamente contiane e come un cocktail di personaggi che ne erano l'incarnazione dei personaggi uniti dalla trama esile e pretestuosa di una storia che, a risentirla oggi, sembra faccia il verso agli intrecci di certe sconclusionate telenovelas dove, nell'illusion, che tutto accada, nulla accade.


L’ORMAI


HA UN PROTAGONISTA, la storia. Si chiama Ezio Ormai. Ma si chiamava Ezio forse, Ezio riproviamoci, Ezio eventualmente e si chiamerà Ezio senza tregua. Tutti i nomi, cioè, del dubbio, della fatalità, alla ricerca del favoloso e contemporaneamente delle scelte rischiose e della caparbietà. È il padrone e gestore del Mocambo, ma questo non è che uno dei tanti Mocambi che ha già fondato e che fonderà, in ogni angolo del mondo e del tempo. Perché il Mocambo non è un locale, ma una vocazione, uno stile di vita, una dimensione, un'estensione del proprio egocentrismo, un pensiero fisso, il senso di una vita, un modello esistenzial, qualcosa di tropical e non può essere altrimenti per chi, come Ezio Ormai, è un vero mocambero.


io sono qui, sono venuto a suonare, sono venuto ad amare,
e di nascosto a danzare

CIOE' UN UOMO CHE HA TANTO passato alle spalle, è un piccolo avventuriero, i grandi avventurieri esistono solo nei sogni e nei film, e forse neppure lì. Una persona che vive di espedienti, che conosce l'alchimie dell'accorgimento, lo trovi stando ai margini di un mondo che è comunque sempre più distrutto e desolato, afflitto e rattristato del suo cuore malinconico, come nella Topolino Amaranto, quando l'euforia folle del protagonista sembra sorgere per contrasto col paesaggio di rovine e detriti che la sua baldanzosa macchinetta attraversa con nonchalance il centro della piazza. Ezio non ha identità, forse perché ne ha troppe, non è un caso di schizofrenia, è che è troppo sensibile, perché “è” stato troppi personaggi e ha aperto troppi Mocambij. I suoi documenti sono certamente falsificati, non tanto per sfuggire a creditori e nemici di cui deve aver fatto collezione, quanto perché un autentico mocambero, fin dalla nascita, non può possedere un documento vero è, per vocazione, un altro anche rispetto a se stesso. Un po come il Rick/Humphrey Bogart di Casablanca, che è forse il prototipo di tutti i mocamberi, nasconde sotto una scorza di cinismo un'umanità profonda, dietro la scontrosità una grande classe, un senso istintivo del saper vivere. Fa anche sfoggio di un italiano forbito, quello, ci dice Conte con ironica sapienza, che soltanto le persone ignoranti sanno usare. Tutto sembra rimbalzare sulla sua faccia impassibile, ma nessun sentimento gli sfugge, nessuna sfumatura si perde ai suoi occhi.
Vieni via con me


Le donne

  odiavano

Dove sono i colleghi?
il jazz

QUESTA SUA SAGACIA, QUESTA attenzione al particolare, la esercita soprattutto al mondo femminile. Come certi grandi misogini, sa tutto delle donne, anche se lui continua a dire che non le conosce e non le conoscerà mai, e non vive che per loro. E le donne, naturalmente, lo amano, come odiano il suo jazz, attratte da quel suo grugno di coccodrillo. Da ogni attimo del suo passato, dai luoghi più improbabili, donne dai nomi ancor più improbabili gli telefonano per rievocare e commuoversi, si capise, 80 primavere sono abbastanza per ricordare. Conte resta segreto e pudico, fino all’ultima nota, fino all’ultima rigo di pentagramma, mai biografie, niente confessioni. L’elissi preferisce, l'omissione di una frase, di un elemento sintattico che si sarebbe obbligati a sottintendere. Il mistero e i suoi testi, con l’andar degli anni, diventano sempre più sibillini e in Aguaplano (velivolo misterioso ma che gli sembra d’aver visto da qualche parte dell'oceano) offre tutto questo misticismo Bohèmienne all'Osteria dei Binari, fatto di parodie e alberghi tristi e luci che saettano sul volto pechinese della cassiera in un vortice di Boogie-boogie che lascia invorniti.

L’orchestra era viva

partiva...


DECOLLAVA!


Mi avrai verde milonga inquieta che mi strappi un sorriso
di tregua ad ogni accordo mentre... mentre fai dannare le mie dita...
UN DEDALO DI NOTE E grappoli, di semitoni da sbrigare nel volgere di un paio di plettrate o nel bongo dove rimbalza il gomito del tucano. Bibendum, arcimboldesco montaggio di pneumatici, fasce elastiche, camere d'aria, gomma urbica e gran bevitore di lattice e un coyote che ulula in lontananza la propria e l'altrui puzza. Tra tutti costoro si instaurano dialoghi pieni di tormentoni e tic provinciali, il cui contenuto è una collezione avventurosa nell'esotismo dello spionaggio e del contrabbando: tigri e leopardi, maragià e gauchos, azzardi e scommesse, sparizioni e mascheramenti, Istanbul e Guadalajara, Baghdad e l'Oregon, Sumatra e Berlino, con continue strizzate d'occhio al cinema hollywoodiano, frammenti voluti o ricordi inconsci di beau geste, Casablanca, GungaDin, ai romanzi di Salgari e ai fumetti di Jim Toro. Il tutto sospeso tra il barone di Munchausen e "La camera da letto di Van Gogh" e nostalgia reale, quella che spariglia la forfora sul paltò.


Lasciateci ai nostri

temporali


Paolo Conte, il dandy ottantenne, tra cinema, jazz ed enigmistica
QUEL MISTO DI VICINO e lontano, di affetto e disincanto che è proprio anche della colonna sonora. Dove la rumba si alterna al valzer inglese, Charlie Parker a Edith Piai, Duke Ellington a Zarah Leander, le grandi orchestre americane ai Beatles, Song O bella mia piccinina. Un gran cocktail anche qui, anzi un gigantesco bric-à-brac, che si stringe e si chiude con coerenza attorno al mondo di Conte. Il quale è presente nella trasmissione nella parte del personaggio più defilato e solitario, apparentemente il più estraneo ai dialoghi e agli abbozzi di storie che legano gli altri: il pianista del Mocambo. BOP. Quando lui parla, tutto il resto tace, e i personaggi sono come risucchiati nell'ombra da una luce coi baffi. S'interrompe la finzione, la messa inscena artificiosa, tutto parlato in "alascano all'addiaccio" inizia una finzione più alta, una messinscena meno convenzionale di quelle a cui siamo abituati, sempre sull'orlo di importanti verità, ma con l'aria pigra, volpina, di chi finge di non volersi far prendere sul serio. È lui che tiene le fila, è lui il solo a saper tutto degli altri personaggi. Ma su di loro è enigmatico, reticente, preferisce lasciarli avvolti nel pudore di quel poco di mistero che li fa interessanti. Tocca la tastiera con mani da burbero, e ha un grande repertorio: le canzoni di Paolo Conte.