martedì 25 luglio 2017

Il Leit motiv di Faber



Mi sono visto di spalle che 

partivo...



 di Matteo Tassinari 

Faber riposa
Sicuro, Belìn?

FABRIZIO DE ANDRE', attraverso affabulazioni e assonanze incastonate alla sua maniera in una delle canzoni 
predilette dall'autore stesso, "Amico fragile", dove rende palese quanto sia stato indigesto essere Fabrizio De André, talune volte. Cita questi versi in una delle canzoni più autobiografiche e più amate per sua stessa ammissione opinione confermata anche dai suoi collaboratori ed estimatori più stretti. È l'osservazione sulla delicatezza o imperfezione della connessione tra gli esseri umani, un deserto allucinato, allineato dove manca il rispetto, come nelle favole di Fellini, un personaggio capace, indulgente, affidabile, credibile e soprattutto paterno. È ancora oggetto di discussioni, in Rete e fuori (anche se si sta meglio fuori, che strano supplizio ci siamo dati) circa la sua valenza e il suo significato, le molteplici versioni. Simbolismi, allegorie, allusioni, similitudini che trovavano sempre sede nella realtà dei nostri giorni inabbordabili e troppo esigenti, quasi come Amleto o "Pilar del mare con le sue donne che sulla strada bruciavano copertoni a disposizione dei signori".

Se i cosiddetti “migliori” di noi avessero il coraggio di sottovalutarsi
almeno un po’ vivremmo in un mondo infinitamente migliore
IL NARRATORE DI AMICO FRAGILE, "evaporato in una nuvola rossa", guarda con assenza l'immaginazione di chi è "più curioso", "meno stanco" e "più ubriaco", desideroso di "luoghi meno comuni e più feroci", la cortesia diplomatica dei rapporti falsi, le convenzioni del mondo in cui è immerso l'inquietudine del vivere quotidiano e ne rimane quasi accecato dall'arroganza degli "amici" in quel di Gallura. Da una parte pare respingere ogni astrazione conciliativa, di assimilazione e armonia, di approvazione delle contraddizioni e dei confini terminali individuali. Pare voler partire in uno spazio onirico, immaginario, ricercando l'oscuramento dentro di se come una realtà che lo stava circuendo per bloccarlo dietro alle corde di una chitarra per cantare come idioti e per coro poveri gonzi col Rolex d'oro o argentato al braccio e catene d'oro al petto abbronzato, dopo il brodetto di pesce sardo alla "Mannaca". Il whisky aveva iniziato a scorrere a fiumi, tra gli astanti.


Evaporato

In una

nuvolarossa

Amico fragile è l'encomio fallimento o dell'apologia del dissesto di chi ha vestito due panni contrapposti, dal ruolo dell'inquisitore e del blasfemo, del sacerdote e della vittima sacrificale, del censore collotorto e dell'anarcoide libertario. E potremmo ricordare quanto sia vero detto dal cappellaio folle (IPXE DIXIT, Frank Zappa): "Alcuni scienziati affermano che l'idrogeno, poiché sembra essere ovunque, è la sostanza basilare dell'universo. Non sono d'accordo. Io dico che c'è molta più stupidità che idrogeno, e che quella è la vera sostanza costitutiva dell'universo". (Citato in The Real Frank Zappa Book)

 Ama e ridi se amor risponde 
Amico fragile è stata composta quando Fabrizio era ancora con la mia prima moglie Puny. Furono invitati una sera ad una di quelle feste a Portobello di Gallura, dove Fabrizio s'era comprato una casa nel '69 in uno di quei ghetti della costa nord sarda. D'estate arrivavano tutti i turisti, gente coi danari, Mercedes, Rolex, maglioncini di Cachemire che sfruttavano la bellezza del posto che li circondava senza rispettarlo, romani, milanesi, genovesi, torinesi, in un parco residenziale. M’invitarono e la notte, per i pochi intimi, finiva sempre col chiudersi puntualmente con Fabrizio e la chitarra in mano a cantari sbronzi. Imbalsamato come una statua De André mal sopportava questo stato di cose. E lo dice che è in cerca di luoghi meno comuni e più feroci senza rimpiangere la mia credulità, ossessioni che appartengono al privato di Fabrizio e trovano posto nello scoprire di essere "molto più ubriaco di voi".
Furiosamente
di getto
PROPRIO LUI... 
UNA SERA FABRIZIO, CERCO' di dire: “Perché piuttosto non parliamo del Diavolo, visto che il Papa ne ha parlato proprio in questi giorni?”. Era il periodo che Paolo VI parlò pubblicamente degli esorcismi. Fabrizio voleva parlare un po' di quello che succedeva in Italia, non mettersi al centro della situazione con la solita chitarra e i soliti coretti col Rolex al polso, ma la gente non lo capiva questo, che voleva essere uno come gli altri. Nemmeno per sogno, doveva suonare! Proprio lui, nato da famiglia ricca, ed in eterna lotta contro la sue stesse origini famigliari e sociali, a lui troppo stretti e banali. Proprio lui che fin da ragazzo aveva scelto la Genova d'angiporto, quella dei bordelli, dei pittori, dei tiratardi. E dei cantautori. Proprio lui che anarchicamente avversava le maggioranze e la loro utilità nel  divorare tutto ciò che di sembianza ha l'umano, di anestetizzare le emozioni, le sensibilità, gli impulsi di ogni persona. Proprio lui che sapeva trarre dalla abbia e dall'impotenza, quella efficacia e profonda potenza narrativa che dilatava la sua dolcezza sia come uomo che come artista. Proprio lui...
Durante il rapimento mi aiutò la fede negli uomini, proprio dove
latitava la fede in Dio. Ho sempre detto che Dio è un'invenzione dell'uomo,
qualcosa di utilitaristico, una toppa sulla nostra fragilità…
Ma, tuttavia, col sequestro qualcosa si è smosso. Non che abbia cambiato idea
ma è certo che  bestemmiare oggi come minimo mi imbarazza

Questo, considerando lo spirito libero di De André, consisteva in un'imposizione ripugnante, insopportabile, sgradevole. Da non vivere. Caso mai da fuggire come poi ha fatto. Del resto De André è sempre stato un maestro nel regalare la sua assenza a chi non dava valore alla sua presenza. Era un uomo intenso in tutto quello che diceva e scriveva, anche quando rideva, figuriamoci quando cantava. Gran selezionatore d’amicizie, ma la vera amicizia l’ha conosciuta davvero, a detta di Faber, solo quando visse per giorni con i contadini sardi negli ultimi anni, altri uomini, soprattutto quelli che dalla vita hanno ricevuto schiaffi e ceffoni per responsabilità altrui. C’è chi dice che fosse un vincente-perdente. Io penso che fosse un grande, un uomo che ha saputo dare molto, sicuramente di più di quanto pensasse lui stesso.
 La scrissi
  in un'ora
A polmoni aperti, ad un certo punto della serata, Fabrizio scoppiò gridando fra lo stupore della gente: “mi sono rotto i coglioni, andate a quel paese tutti voi che non sapete altro che imporre cosa uno deve fare. Il seguito è ancora più abissale. “Poi mi sono ubriacato sconciamente, come un ubriacone senza vergogna, remore e ritegno, ho insultato tutti ad alta voce e ho infangato tutti i loro modi di vita e me ne sono tornato a casa per scrivere Amico fragile". Non so voi, ma in Amico Fragile vedo Piero Ciampi e il contesto contingente qui è di natura del tutto particolare. "Ero sbronzo e c’impiegai circa un’ora a scrivere Amico fragile, di getto. Ricordo che erano circa le otto del mattino, mentre la mia prima moglie Puny mi cercava senza trovarmi, né a letto né da nessun'altra parte. C'era infatti una specie di buco a casa nostra, che era poi una dispensa priva anche di mobili, dove m'ero rifugiato e mi hanno trovato lì che stavo finendo il brano sbronzo al limite. Mi sono ritrovato con la chitarra in mano in mezzo a gente che pensava solo al divertimento, agli affari suoi, al denaro, allo sfruttamento, al godimento, allo strozzinaggio, all’uso frutto, alla speculazione, senza porsi il dubbio del parere altrui. Questa gente non la sopporto e non la sopporterò mai, sono il mio esatto contrario”.
Benedetto Croce, diceva, che fino all'età dei diciotto anni tutti scrivono poesie. Dai diciotto anni in poi, rimangono a scriverle due categorie di persone: i poeti e i cretini. E quindi io precauzionalmente preferirei considerarmi un cantautore

Il Leit motiv di Faber, l'ennesimo rigetto contro la borghesia, classe sociale da cui proveniva e proprio per questo negazione doppia, viveva come una colpa il fatto che la sua famiglia fosse una delle più ricche di Genova. Quando era al liceo e suo padre era il vice preside dell’istituto, lui teneva questa informazione come un segreto, sarebbe stata un’offesa terribile per lui, come se qualcuno gli avesse appiccicato addosso il distintivo di privilegiato. Ha sempre tradito le sue origini sociali e culturali, ma del resto non era colpa sua se i suoi genitori erano ricchi e suo padre amministratore delegato dell'Eridania, oltre che essere stato vice sindaco di Genova e uomo di fiducia dell'imprenditore rampante del gruppo Ferruzzi di Ravenna di Raul Gardini. Detestava questa gente, per quanto amava suo padre. Al giornalista Vincenzo Mollica disse: "La cosa che vorrei di più ora che mio padre è morto, è poterlo rivedere e parlarci un pò, sarebbe stupendo
  
Cosa vorrei?


Parlare con mio padre

Voglio vivere in una città dove
all'ora dell'aperitivo non ci siano
spargimenti di sangue
o di detersivo

Evaporato inunanuvola rossa
La nuvola rossa citata all'inizio è un riferimento all'alcol e al suo oblio che incasinava brutalmente la situazione, ma era vero che fosse l'unica via di fuga da quel branco di gente con le signore borseggiate con Louis Vuitton , Borbonese e foulard Ken Scott (erano gli anni ’70...). Lui si trovava al centro di una congrega che non aveva mai scelto, mentre la congrega aveva scelto lui come menestrello della serata solo perché aveva cantato con Mina e alla Bussola di Viareggio ed era un nome ormai. Ma ciò Faber non lo sopportava. “Evaporato in una nuvola rossa”, da considerare che a quei tempi Faber si considerava un "drogato" (parole testuali sue), bevendo un litro al giorno di wishky. “La droga dei miei tempi era l'alcol. Ho bevuto come una spugna fino a 45 anni. Sicuramente fossi nato 40 anni dopo mi sarei ritrovato con molte siringhe nelle braccia. Mi è andata bene".
La solitudine può portare a forme straordinarie di libertà
La dispensa dove si era rifugiato è una delle molte feritoie della notte, dove ci si rifugia per non essere scoperti per il desiderio della solitudine come l'acqua quando si ha sete, o quando si vuole perdersi in una storia e confondersi in essa per evadere dalla oscura incompetenza della gente ricca della Sardegna. Scritto o no, sotto l'effetto dell'alcol, il testo dimostra un'efficacia prodigiosa, un gioiello di Dio, il luminare rimedio a ciò che resta dell'orrido. Questo brano che aggiunse alla sua personalità dotata di forti giochi visionari, talvolta incomprensibili per non voler capire, è il risultato della celebrità in ambienti dove ci si da il buon giorno e la buona sera con il sorriso di circostanza e fasullo come la polvere. Gentaglia piena di soldi, vuota di affetti veri.

L’11 gennaio 1999 Fabrizio De Andrè muore per un tumore anche se la sua fama continua ad emettere segnali infrarossi, segno che già 30 anni fa, mentre il cane Libero li capta meglio di chiunque altro e sa restituirli egregiamente, con un bisogno d'attenzione e d'amore troppo: "Se mi vuoi bene, piangi ".


domenica 23 luglio 2017

PAZ, Cuore di sbarbo



BETTA SULLO SQUALO



Mi pare l’idea 
di Andrea

  di Matteo Tassinari  

ANDREA, NON TI SEI.. 
... PERSO UNA CIPPA

ANDREA

Pazienza. Andrea, irrazionale, supremo, assoluto, eccelso, inarrivabile, superiore, magico, solenne, unico, magnifico, estroso, notevole il suo dogmatismo. Oggi avrebbe 60 anni, se quel giorno, il 16 giugno 1988 a Montepulciano, non si fosse come sentito "spintonato" e ruzzolando giù dal burrone s'è fatto inghiottire dal dirupo oscuro che l'ha come sepolto assieme alla sterpaglia di varia composizione organica e non. Non ci provo neanche ad immaginare come sarebbe oggi Andrea, quasi l'idea m'appare una bestemmia, qualcosa che non quadrerebbe e lui di quadri se ne intendeva, no no. Andrea ha racchiuso in se gli anni '80 alternativi, fumettari e gogo', quelli che sotto le spalline delle giacche nere in pelle stile Punk Terzo Reich ci mettevano il rinforzo, per far vedere che avevi le spalle larghe come Brian Enooppure Ralf Hütter, il cantante dei Kraftwerk,  band tedesca di musica elettronica formatasi a Düsseldorf nel '70, un po paranoici.



PAZCIORAN


Galleria di personaggi del Paz

MI PIACEREBBE INVECE vedere le sue reazioni, di Andrea, ai social, ai tablet, a come la gente improvvisamente s'è gasata tutta la testa e si sentono dei piccoli Cioran, la chirurgia plastica ed i nuovi mostri, oppure quelli che sperperano tutta la paga di un mese di lavoro in un giorno alle macchine da slot. Dico: ma siete fessi? Noi almeno ci bucavamo. Vorrei vedere la faccia di Andrea nel leggere i Tweet, la conosco già, un affresco autunnale con tante lacrime che gli rigagnolano il volto, come a dire: "Maddai... non ci credo!". No, non ti sei perso proprio nulla Andrea. Qua il cervello scoreggia a molti, c'è chi ha la diarrea lenta, sai? Ma tu, messo com'eri, come t'aggiustavi la razionalità? Come ottimizzavi il Brand? Le bollette chi le pagava? Andavi tu alle poste? E le multe non pagate? Tu eri un grande, quando c'eri, questo lo dicono tutti, anche quelli che ti hanno fottuto, proprio da chi non te l'aspettavi, ma spesso va così, sarà una moda: FOTTI CHI TI DEPLORA!































Il prezzo del Genio


COME DIREBBE OGGI un pubblicitario, un design o un poeta, in Rete ce ne sono a pacchi, chi alle poste? Ma cos'ho scritto? Parlando di Andrea, succede di perdersi, come capitava a lui. E' lo stile Apaz, senza filtri o reti di protezione, senza difese, privo di ogni sicurezza, come un pargolo intuitivamente dotato andava incontro alla vita con la sindrome di Pan sempre attiva a mille nella mente. Questa nanotenia, (così viene chiamata in psicanalisi il rifiuto di crescere) quella situazione psicologica in cui si trova una persona che è incapace di crescere, di diventare adulta, era qualcosa che apparteneva mentalmente ad Andrea. Una condizione psicologica in cui rifiutava di operare nel mondo "degli adulti" (?) in quanto lo riteneva ostile e per questo si rifugiava in comportamenti e regole tipiche della fanciullezza. E se tutto questo ambaradan di cose fosse il prezzo del suo genio? Cosa ne sappiamo noi? Si scrive, si cerca di capire, ma la verità non la sapremo mai, come quando De André quando canta che quando si muore, si muore soli. Gli altri possono tutt'al più guardare. E di soppiatto.


Al ritmo della
Santa Sangre

E ringrazia che ci sono io,
che sono una moltitudine
LIBIDO
ANCHE LA DROGA
l'assumeva allo stesso ritmo della Santa Sangre e dell'intuizione, ossia con fragile arrendevolezza e gracile affaticamento vitale. Non cercava, nel suo profondo, quelle risposte che sembrava aver trovato. Lo dimostra la noia che provava per tutti quei collettivi sindacali, davvero pallosi quanto la forfora sul paltò, o la saliera unta d'olio, sull'occupazione di questa o quell'altra sezione, giunta o sala universitaria - che palle! - del liceo o università. Per Andrea, questo, come per me, ma questo non importa, era tutto tempo perso, inutile, errabondo, pleonastico. Qualcosa che non centrava col suo di mondo, un cozzo di quelli che stridono come le rotaie di una volta. Questa era l'anima del Paz, la sua grandezza innocente. In lui c’era la dinamica del rischio, l'esagerazione, l'eccedenza, l'eccesso d'energia, la vitalità in sovrabbondanza, l’esplosione da tutti i pori della pelle, tenendo alta una capacità di captare linguaggi e segni con naturalezza  idiomatica. Uno così, ma come cazzo poteva vivere?! Non bene, non normalmente, almeno. Le cose pratiche non gli appartenevano. Gli sfuggivano come fa la repulsione col fascismo. Aveva quel minimo di praticità per poter sopravvivere, solo che in un mondo come questo, se segui la massima "la giovinezza e questo perenne amare i sensi e non pentirsi", il rischio è proprio quello in cui s'è imbattuto Andrea, due tratti, un capolavoro.



DARSI IN PASTO

Non c'è bisogno di applaudirmi,
so d'essere una moltitudine
PER ANDREAL'ARTE, significava cogliere l'idea che fugge, il carpe diem. Ma non aveva certo problemi d'ispirazione, e lo dimostrava quando davanti a cento persone disegnava cavalli impazziti senza pensarci un secondo, un getto continuo di tratti per comporre una storia baroccca in pieno Medioevo. Era un continuo afferrare tutto finché ce la fai, fino a scrivere le seguenti e ormai parole scolpite nella pietra per i cultori di gadgettistica varia del Paz che si firmava: "MI CHIAMO Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza, disegno da quando avevo 18 mesi e so disegnare qualsiasi cosa in qualunque modo. Ho fatto il liceo artistico, una decina di personali e nel '74 sono divenuto socio di una galleria d'arte a Pescara. Dal '75 vivo a Bologna. Sono stato tesserato dal '71 al '73 ai marxisti-leninisti. Io sono il più bravo disegnatore vivente. Morirò il 6 gennaio 1984". Come un Keith Haring bolognese, da tutto ciò che li separa c'era la stessa frenesia di essere presente. Era molto vanitoso, da spaccare il deretano a Narciso, voleva essere quello che la diceva più ironica che profonda, e sempre le battute, erano un campo di battaglia dove il Paz faceva esplodere bengala da detonare. Forse qualcosa di Andrea ci è sfuggito, in tutta la sua voracità nel darsi in pasto alla famelica voracità delle altrui aspettative.


Era il capostipite di una grande scuola
che non ha avuto poi nessun allievo
prediletto perché era inimitabile,
un talento irripetibile.
(Roberto Benigni)


Cuoredi
sbarbo

ANDREA è sempre stato giovane, dovunque si trovasse, Tango, il Male, Frigidaire, Cannibale, nessuno lo prendeva sul serio, lo tradiva sempre la sua impunita e acerba leggerezza dalla mano felice. Non riusciva a fermarsi. Di notte capitava che s'alzasse per disegnare fino all'alba. Era un atleta della fantasia. Correva tanto con la testa e nelle sue bozze sparse, pur essendo amante della lentezza e delle comodità. Non si può sentenziare con un liquidante "Se l'è cercata" o "Se l'è voluta", a conti fatti sono i grandi che rimangono col piatto piangente. Uno script ritrovato nella sua casa di Bologna, un post it, con la sua calligrafia, ricordava al mondo: "Non credo sia necessario dirvi quanto sia importante la vostra presenza". Quanto è vero che quel che ti è stato dato in dono, in qualche modo o misura. lo devi restituire tutto. E s'è ti è dato tanto, diventa un casino gargantuesco restituire tutto arrivando al finale in gran salute, un groviglio di fraintendimenti che scoppiano e lasciano detriti e segni da tutte le parti. Un complesso di cose davvero impenetrabile. Comprensibile, per chi ha vissuto appieno l'esperienza della droga nella sua essenza.


La goffa

ribellione



PAZ MUORE il 16 giugno del 1988, a 32 anni e il cielo si rabbuiò. Qualcuno d'irripetibile, ch'era riuscito - per davvero - a raccontare l'Italia dei giovani irrequieti e sognatori, quelli del Movimento del '77 e del terrorismo, del Dams, i calabresi, i pugliesi che studiavano e andavano a mensa all'università, i mercatini all'aperto di chi per strada ci viveva, illusi idealmente quanto utopisti per mestiere, disincantati per vocazione ed eroinomani per necessità. E noi di necessità, ne capiamo. La ribellione di una generazione che, come scrisse Pier Vittorio Tondelli, non era stata capace di credere veramente in nulla "se non nella propria disperazione". Oggi avrebbe detto nella propria "distruzione" che poi è la stessa cosa. 

Ma vieni qua... Tesoro MIO!








Rivendico la mia


inaffidabilità


Stavo pensando...
"PERCHE' IL FREDDO, quello vero, sa essere qui, in fondo al suo (e mio) cuore di sbarbo". Del resto, Andrea, il più underground e visionario dei "fumettari", quello più avanti di tutti, con le antenne più irte di tutti i ribelli degli anni Settanta, che incontra sui banchi di scuola Jacques Prévert, poeta antiborghese, popolare e sperimentale infiltrato nei programmi scolastici, cos'altro poteva fare questo ragazzino così straripante di talento e di comunicativa? Povero Paz, non avevi proprio scelta. I sentimenti per te era roba aspra, non tepore marxista da vendere all'ora di cena, come certi insulsi agitatori.


Ma come fanno gli altri?

RIVENDICAVA A PIENO TITOLO, la sua completa inaffidabilità, senza che questo dovesse generare malcontenti. Lui in fondo era onesto, ammetteva, per natura, di non essere molto presente riguardo alla realtà e per non dispiacere agli altri avvertiva chiunque che non poteva prendere seriamente ciò che lui diceva o punteggiava: "Voglio rimarcare la mia assoluta inaffidabilità". Io dico che è molto meglio uno così, di uno\a che t'assicura di telefonarmi e io l'aspetto in ansia, magari stando male, senza alla fine aver ricevuto alcuna telefonata, con la complicità di decine di persone che per non mettersi nei casini dicono, "adesso non c'è", e giù la cornetta, come a chiudere un canale. Ne è nato un monito senza volerlo. 

Non c'era mai poeticume nelle sue opere.
Era sempre duro, ma duro come lo può essere un bambino
Rivolucion
LA VENA PERSA E PERVERSA
CIO' CHE PIU' affascina del Paz e che il Movimento politico dell'epoca sbraitava per le piazze, le strade, ma a lui non gliene fregava un beneamato cazzo, pur facendo sempre parte di quel habitat mentale: "erano smargiassi, sembrava sapessero tutto loro", diceva quasi scocciato, per poi rincarare la dose definendoli: "i rivoluzionari del borghetto, ma che vadano a farsi fottere". Uno che sentiva un profondo bisogno di affetto, e allo stesso tempo così spavaldo da passare per una persona volutamente antipatica, non poteva stare zitto davanti alla vita che se  ne andava. Ma non voleva, non prendeva distanze da nessuno, neanche dai benpensanti borghesi, non era stronzo in questo senso. Anzi, se c'era chi bagnava di benzina lo straccetto nella bottiglia, preferiva prenderli per il culo nelle sue tavole. Lui aveva altri giri per la testa, forse più personali, vanesi, più deflagranti. Certo è che per uno che sosteneva che Il segreto della giovinezza è averci la mente porca, è dura fargli la predica di Marx e anche i dritti poi...
Prima pagare, poi Gino
UNO CHE TREMAVA "come le foglie in autunno" o un salice piangente che ha freddo d’affetto, ma non riusciva a non andare controcorrente proprio là, nel suo ambiente, con i suoi amici: "Prima di fare fumetti, dipingevo quadri di denuncia. Erano tempi nei quali non potevo prescindere dal fare questo o quello per questioni economiche, nel senso che non potevo scegliermi quale lavoro fare. Per vivere facevo quel che capitava, sempre attingendo dalla mia sorgente. Venni a sapere che i miei quadri venivano comprati da farmacisti, commercianti, dentisti, che se li mettevano in camera da letto. Pensai che erano pazzi. Alcuni, addirittura, ho saputo che li mettevano anche nello studio di lavoro. Roba da matti. Il fatto che il quadro continuasse a pulsare in quell'ambiente così diverso dal mio, mi sembrava, oltre che una contraddizione, che però ci stava nel mio percorso, poteva essere! Da qui la necessità infinita di confondermi e nascondermi in essi".


Amava tutto

imprevedibilmente


HAI BISOGNO?
"ESISTONO PERSONE AL MONDO, poche per fortuna, che credono di poter barattare un'intera via crucis con una semplice stretta di mano o una visita ad un museo e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi e miliardi di parole d'amore", il Paz fa dire ad un Samurai vestito di un  kimono nero con cappuccio armato di Katana di Hattori Hanzo, il migliore di tutti i tempi a costruire Katane splendide damascate di smeraldi haitiani e taglienti come la voce di Cohen e Waits. Come per tutti il tempo dei trentanni passa, e Paz li rimpiange tutti e con essi una stagione irripetibile del fumetto e pittura italiana finito a capitolare attorno a spade con una mistura diabolica all'interna. l'eroina! Lei ci ha ucciso. Lei ci ha picchiato. Lei l'ha ammazzato. Voi che non la conoscete la dinamica, rimanete in silenzio, pensate quello che volete, ma non fate i pletori draconiani per favore, non ve lo meritate e non lo merita nessuno se non chi so io. E' venuta meno l'ebbrezza, con lei anche Paz, che provava quando era al centro esatto delle esperienze più oltremodo di quel periodo fecondo, dal "Cannibale" a "Frigidaire", autore fra gli autori e soprattutto, il più dotato di una generazione di fumettisti che come padrone avevano solo la loro creatività, neanche il pubblico, il lettore, la loro genialità. Poi a quel livello non s'è più visto nessuno. Ribadisco, nessuno! Ora al "confino a Montepulciano" come lo definiva scherzosamente (ma non troppo, sapendo leggere tra le righe o capire il non detto per pura incapacità) in un'intervista a quel gagio di capelli che in quegli anni te lo ritrovavi dappertutto, saltare da interviste a Roger Waters (bassista dei Pink Floyd) al romagnolo Raul Casadei e la sua "Mazurka di periferia".
"Andrea Pazienza è riuscito a rappresentare, in vita, e ora anche in morte, il destino, le astrazioni, la follia, la genialità, la miseria, la disperazione di una generazione che solo sbrigativamente, solo sommariamente chiameremo quella del '77 bolognese" 
                            Pier Vittorio Tondelli

Autoritratto\ Il mitico Paz nei panni di un Che improbabile
MA STUPENDO
Andrea sotto l'effetto benefico del sogno 
ALTEZZE APOGEE
C'ERA PAURA DEL TERRORISMO, l'eroina inquinò parecchi quartieri e colpì i migliori, fino ad arrivare alle città centrali come Verona e Milano. Ho sempre pensato che un modo per schiacciare, ammaccare e umiliare queste nuove leve dello stato dell'arte ad un'altezza apogea, vertiginosa, non desse poi tanto fastidio una bella ondata d'eroina in tutto il Paese incasinato con i terroristi che facevano, ma non capivano cosa, per mettere fuori gioco chi rompeva i coglioni con la loro arte o creatività che alimentavano le voci dei movimenti giovanili, dei centri sociali che dettavano il "la" su cui gli artisti poi elaboravano, per dar vita a frasi del genere: "La realtà è sempre nuda, basta questo per capire che razza di zoccola è", oppure: "Il segreto della giovinezza è averci la mente porca", anche "Mai tornare indietro, neppure per prendere la rincorsa". Andrea s'era perso nella normalità e non accettandola, teso com'era a prosciugare il momento per sua natura, il carpe diem Omeriano, un Guest house di persone giuste, si complica tutto senza dar fastidio a nessuno, o a quei pochi che aveva rimasto, del proprio declino senza rompere i coglioni agli altri, in un modo o nell'altro si è superato spesso.



AUGURI PAZ!


62



PRIMAVERE 


PAZ E' VERAMENTE perduto, quasi smarrito tra l'amenità dei colli toscani, seppur fantastici, ma si può piangere anche al carnevale di Rio, ma quasi tutti lo ignorano. Ammogliato, con due cani da portare a spasso.
     Sciapò, Paz
VITA SANA, TIRO CON L'ARCO casa, famiglia, un’innocente cannetta, ma nell'idillio apparente c'è qualcosa che stona. Lui stesso appare convinto fino ad un certo punto della nuova condizione in cui si ritrovava: "Ora che vivo in campagna come un cretino non sono più depresso, come l'oblio, un ascoltarsi come un parlarsi" scrive nel testo che conclude il mistico "Pompeo" e sfido chiunque neghi che quel testo sia eccessivamente spirituale. C'era lui, solo lui, e lui quando schiattò, lo percepiva, come quando senti una pera in modo impertinente salire, troppo prepotente, t'aspettavi una combinazione dei sensi diversa.


ISTINTIVO, DOMESTICO, pronto a farsi attraversare da tutto come a cercar rifugio fra le sue mura di casa, Pazienza viveva la sua gioventù nel segno di  Pan. L'eterno ragazzo, il compagno di scuola, il Dandy attentissimo alle mode del tempo (intesa come linguaggio ma anche non) e alla cura del proprio corpo inteso anche nel senso sensoriale. Una "Fashion-victim", sia per come si vestiva, con estro audace, mai banale, sia quando arrivava per disegnare una tela davanti a mille individui in modo snob e sfizioso, quasi ignorava chi lo guardava, come un senso di disgusto, consapevole che non stava vendendo arachidi o lupini, e loro lo guardavano ridendo. Andrea mostrava arte, quell'invenzione avventurosa che ti prende al plesso solare per un "po", non lana di pecora. Capre! I più bravi e fortunati sono coloro che riusciranno, umilmente arrivare in salute al gran finale, cioè i più malconci. La sintesi al plesso solare (lo sterno) del Paz era: "E ringraziate che ci sono io, che sono una moltitudine" ricordava al palazzo della Storia, perché questa maldestra cosa di dimenticare sempre per convenienze, lo ha sempre fatto incazzare parecchio.