domenica 15 ottobre 2017

Descansate Niño, che continuo io

Ah... io sono qui, sono venuto a suonare, 
sono venuto a danzare e di nascosto ad amare












di Matteo Tassinari

Le donne odiavano il jazz
Via, via, non perderti per niente al mondo lo
spettacolo d'arte varia, di uno innamorato di te

E' tutto un complesso di cose e di arte varia di uno innamorato di te. Un cultore  di enigmistica classica come Paolo Conte, è il più amorevole ed esperto nello spostare e sputare le parole giuste, collocandole al posto giusto, sempre, contorcendo sillabe e conati nasali come il miglior alfabetiere conosciuto sullo scacchiere italico e perché no... mondiale, che provano, ci danno forte, ma non gli arrivano. Il Conte è fuggito, troppo  avanti, si dice perché sia rimasto indietro. Roba da poeti con la camicia hawaiana. 


L'uomo del Mocambo



  SERRANDEABBASSATE


Pioggia insegne delle notti andate


Se nel sesto disco, quello centrale della carriera di "Paolo Conte" che recita proprio il suo nome e cognome come titolo, i testi erano quantitativamente minori, ma per qualità pur sempre amalgamati alla musica,  avevano tuttavia una loro cronicità attuale compulsiva. I testi, talvolta e per i più beghini distratti, sembrano un accessorio subalterno alla musica, un'alternativa stessa alle note che sono state prescelte per seguire quel testo e non un altro, pur segnando di per sé esiti mirabili come sempre. Max (brano conturbante, triste per quanto misterioso), in Olanda è stato "Disco d'Oro" e di "Platino", anche in 45 giri e il suo fascino nell'assenza stessa di testo, nella sola atmosfera e in quel ripetere ossessivo la stessa frase misteriosa che allude per forza a qualche cosa di tenebroso, fino a giungere alla simpatica e coinvolgente per quanto bizzarra in tutto, Sparring Partner, l'illuminazione di chi non ce l'ha fatta con la boxe di seconda mano. Un disastro nel cuore, una tempesta nelle emozioni. "Intanto io rifletto, forse la vita è tutta qua. Abbiamo un bel cercare nelle strade e nei cortili, cosa c'è e non c'è. C'è un mondo che si chiude se non ha un pugno di felicità. Io sono sempre triste, eppure mi piace sorprendermi felice insieme a te". Dopo le metafore, molto spesso c'è la farmacia. E ci si perde, sgretolando i sentimenti grandi e vissuti.

A MEZZANOTTE, TUTTO TI DIRO'

Eravamo al Mocambo...
Nous sommes ici,
mais ici où?




















Jazz

Poche donne amano il Jazz. Anche se ai miei spettacoli, intravvedo nell'ombra tante donne, chissà perché? Qualcosa mi sfugge". Un iniziale clima soffuso, con piano, sax, contrabbasso e tromba in sordina, poi un'esplosione di voci e fiati che inebriano. Il sassofono di Antonio Marangolo, disperato, introduce la melodia di Jimmy ballando. "Non pensare Jimmy, zitto, che il nemico ci ascolta, oh Jimmy, non giurare con te stesso. E' l'ultima volta. Ne abbiamo viste tante di regine andare sull'altro marciapiedi al sole e noi nell'ombra è sempre così, Jimmy, ridendo e scherzando", per poi aprirsi ad Irving Berlin, compositore e proprietario della music Theatre Box di Broadway. Qualche brano è una suite strumentale, un piccolo poema sinfonico del novecento arricchito di raffinate sfumature virtuose col Kazoo e carnali esotismi poetici. Un modo di costruire musica e canzoni senza il tremore del passato esaltando quello che secondo Conte sono stati gli anni più belli della storia di questo mondo, dal 1910 a prima del Fascismo. In pratica, e ovviamente. Figuriamoci.
Jimmy ballando, ballando
Paolo Conte allo Spectrum, Parigi 
NON TRATTASI PIU' di canzonetta, ma di confezione internazionale per un mercato raffinato, molto orfano di nuove suggestioni sudamericane ma non per questo leggiadro, anzi, spesso molto tragico. Ineccepibile ovunque, Conte, non si risparmia mai. Canta a Parigi, Belluno, New York, Rieti, San Paolo o Campobasso, nulla cambia, importa suonare. Va detto che i suoi  concerti registrano sempre esaurito al totale e questo non sorprende. A volte l'esaurito è di 500 persone, pagando il prezzo di un biglietto dal conto stratosferico che ora non saprei quantificare precisamente. C'erano ancora le nostalgiche lire e Conte chiese un biglietto di 400 mila lire nei posti più sfigati. Nemmeno a Londra si paga così tanto: "Purtroppo è lo spettacolo a essere molto costoso", dice Rocco De Venuto organizzatore della Camerata musicale del Petruzzelli. "Ci sono 11 elementi dell'orchestra e il cantautore arriverà con un volo privato". Che chiedesse anche di più, li varrebbe tutti. E mi vien da ridere, perché io sono istintivamente con Conte in tutto ciò che fa. Qua in Italia non se lo caga nessuno o quasi. Vai in giro per il mondo e scopri quanto ce l'invidiano e noi imbecilli che neanche sappiamo chi sia l'avvocato mancato (per fortuna) di Asti. Chi canta come lui? Chi allestisce un momento lungo 2 ore dove la testa viaggia come quella dei bambini adulti. Chi crea atmosfere così intense e brillanti? Assolutamente principianti. Per sempre. Così eravamo noi, nei ragazzi del jazz. 
IL Gagà SELVAGGIO

CONTE CANTA INCANTANDO ANCORA, certo, e anzi sembra passare a suoni di più serio spessore proprio perché parallelamente ha educato la voce a crescere nel primo periodo, i suoni dei dischi erano intelligentemente adeguati alla "povertà" maldestra del calembour, quando sta al pianoforte (magari verticale) era uno sferragliare alla guida di un trabiccolo somigliante più ad un automobile. Molte sono le sue esperienze di musiche di scena come autore di colonne sonore per il cinema e per il teatro. E' significativo che alcune di quelle che oggi noi conosciamo come canzoni esistevano già come temi strumentali scritti per il cinema (Max, Jimmy ballando, Hesitation) e là, dove nei film è previsto un testo originale e ancora Macaco, Le chic et le charme, tapis roulant, Sontuoso misto mare, Locomotor e Habanera.
Brani adeguati alla "povertà" maldestra dei calembour, come quando sta al pianoforte (magari verticale) e ci si attorciglia sopra e sotto, come uno sferragliare alla guida di un trabiccolo somigliante più ad un automobile E GODE, GODE, GODE, SI VEDE CHE GODE. Caspita! Se si vede! Paolo Conte, canta incantando abboccando l'ultimo passo della verde Milonga che dannare tanto fa i polpastrelli incalliti dei musicisti.  
Si nasce e si muore soli.
Certo che in mezzo c'è un bel traffico



ANCHE SE CONTE vi si pone con taglio vivo e moderno. Un distacco illuminista e nobile, dell'ironia selvatica, violenta, istrionica, plebea e cavallerescamente auto-ironico. Mai prendersi sul serio, non so se l'abbia pensata mai questa frase, ma nelle sue canzoni si respira questo stato d'animo in misura extralarge. Assoluto disinteresse per l'attualità e tutto ciò che la circonda, ma non per la storia che ama. Un macaco senza storia, che si sente come Gongo, prima che arrivi. I rumori annunciano il suo ingresso sulla scena del Politeama.
Il magico Teatro Politeama Palermo
AIUTO, vieni via con me
un'implorata proposta di una fuga d’amore
FU COSI' CHE c’innamorammo tutti, chi prima chi dopo, di Paolo Conte. Tutti a scriverne, tutti d’accordo nel cantarne le lodi di un artista così diverso, così unico, così stupefacente, così baffuto, osì struggente. Uno spettacolo d’arte varia, in un eccellente cornice orchestrale. Una presenza originale e intrusiva, per chi ci coccia, nella scena musicale del nostro tempo, che da decenni si esprime con dischi e concerti magici. Autore di letteratura moderna che non dimentica d'essere un "equilibrista" alla fine di ogni concerto col passato '900. Inizia ad essere un poco stanco. E se arriva l'applauso, è proprio l'applauso da circo, da saltimbanco che gli interessa, più delle ricerche che qualche musicofilo che ha elaborato su sue canzoni. Gli anni dell’adolescenza e della mescolanza dei Gender-Music-High, segneranno la sua vita. Trascorre i pomeriggi leggendo Salgari, Verne, Dickens e Pedrito El Drito, personaggio di Antonio Terenghi, in breve il meglio della lettura romantica, avventurosa e magica in circolazione nei primi anni 50.
Era un mondo adulto,
si sbagliava da professionisti

Sotto    le
stelle
del Jazz
NEL FAVOLOSO ventennio '50- '60, carico di speranze e illusioni, Conte comincia a scrivere canzoni per tutti a raffica senza calcar le assi chiodate. Inizia a studiare pianoforte con esiti strepitosi. Ha modo di conoscere le Pop Stardella belle époque e dedicandosi al loro successo con i brani scritti da lui elevando il livello medio del panorama musicale italiano. A Celentano regala "Azzurro", all’Equipe 84 dà "Una giornata sul mare""Insieme a te non ci sto più" la da a Caterina Caselli"Mexico e nuvole" per Enzo Jannacci e per Patty Pravo invece scrive "Tripoli ’69" impiegando mesi a spiegarle che non c’è nessun doppio senso nel titolo. Giunge il successo travolgente con canzoni come "Genova per noi", "Onda su onda", "Bartali(doveva chiamarsi Merckx, ma con le rime come la si metteva dopo?), che consacra Conte come il più originale degli autori italiani in attività. Ma è giunto il momento. Conte decide d’interpretare le proprie canzoni. Nonostante il successo mondiale non dimentica chi gli è stato vicino agli esordi. Ed è proprio a Celentano, che Conte gli dedica un altro dei suoi capolavori, "Azzurro".
"Non sono introverso.
Mi diverto più quando sono solo"
SAREBBE INGRATO parlare di Conte col consueto metro dei successi ottenuti, le canzoni e nozionismo di vario genere, solo contabilità. Ciò che più colpisce di quest’uomo, è che ha molto del gorilla-macaco, quando nel cono di luce creato ad arte che lo incastona in fondo al palcoscenico su un pianoforte a coda e muoversi claudicante che sembra grattarsi mentre grugnisce con le labbra appiccicate al microfono fino ad ingoiarlo, ormai. In questo gioco musicale, testuale e interpretativo, tra nobile e plebeo, tra l'alto e il basso, in quest'oscillare tra l'aulico e il dimesso, realizzato dagli abozzi dell'amico morto Hugo Pratt, dal compiuto al non finito, in questo continuo porgere e sottrarre, esibirsi e ritrarsi.
Lasciateci ai nostri
temporali
Jino Touche,
mauriziano 
UN'AUTOIRONIA, COSCIENZA critica che gli permette sempre di  prendere le distanze dallo strumento e orchestra con cui si balocca, ma al tempo stesso glielo fa perfezionare con accuratezza mai appagata. Certi brani confermano la mia idea. Come la visionaria "Max", la malinconica "languida", esprimono di più con le note che con le parole e senza testo sarebbe solo un bel rumore: "mi avrai, verde milonga inquieta che mi strappi un sorriso di tregua ad ogni accordo, mentre fai dannare le mie dita…. Fin che Atahualpa o qualche altro dio non te dica descansate niño, che continuo io... Ah, io sono qui, sono venuto a ballare, sono venuto a guardare e di nascosto a danzare".
Il blues fu, in modo molto specifico,
la musica dei neri più poveri e meno rispettabili
FRA PAOLO e la musica c’è un amore viscerale. Il Jazz? Una passione. Il Tango? Un’avventura. La Milonga? Una tenerezza. Il Mocambo? Un'allegria. Da ciascuno prende quel che gli serve, cioè il meglio. Un accordo, un arrangiamento, un tempo, un svisata guascona, una doppia battuta d'orchestra, tutto volge al perfezionamento slabbrato, vintage, consumato. Per poi tradirli tutti confondendoli (per troppo amore, non v’è dubbio) generando una musica senza tempo sospesa in un limbo dove tutto oscilla, nulla è fermo.
Non perderti per
niente al mondo,
lo spettacolo
d'arte varia di uno
innamorato di te      
Blù Tango,
Blues Tango…
IL BLUES DIVENTA Tango, il Tango diventa “Blues-Tangos”. E questo illanguidisce, culla, commuove, “surrealizza”, mette voglia di bere roba pesante, lo stato d'animo di chi a teatro ha avuto la sana esperienza di ascoltarlo e vederlo pigiare come un operaio sui tasti del piano nero a coda. Le sue musiche, sempre evocative di un qualcos'altro con risonanze molto sgangherate e sviluppate con sapienza musicalmente anarchica, sono in realtà rifacimenti che permettono più livelli di lettura, dove in una canzone non vi è un solo è univoco messaggio, ma tanti significati e ambasciate in una missiva. Molti percepiscono la musica di Conte come un Jazz antiquato o un blues andato, straniato e stravolto o ancora come una ballata messicana. Forse è un miscuglio di tutti e tre gli stili. 

Oltre le illusioni di Timbuctù e le gambe lunghe di Babalù c'era questa strada... Questa strada zitta che vola via come una farfalla, una nostalgia, nostalgia al gusto di curaçao. Forse un giorno meglio mi spiegherò

UN KAZOO PER MOZART


CONTE AGGREDISCE le sue canzoni, le mastica, le sputa, le biascica, le frantuma, le rivolta, scava dentro le atmosfere e ne restituisce il suono primigenio, le lascia a mezzaria per poi raccoglierle al volo come l'illusionista più giocoliere in un "acrobatico mestiere", disse quando nel 1974 si mise in proprio cantando ciò che aveva fatto sempre cantare ad altri. Comincia così con ineffabile serietà, a storcersi e contorcersi all'altezza del microfono appoggiato sopra il pianoforte che pare quasi stia per mangiarselo o farsi mangiare. Annaspa, arranca, spalanca, con le mani sui tasti bianchi e neri, fatica star dietro agli archi avviati, brancola, barcolla, brontola, si dibatte fino a quando non si trasforma e deforma nel personaggio che sta cantando. 
No, certe cose non si scrivono,
che poi i giudici ne soffrono
E LA FACCIA seria si trasforma. Un occhio chiuso, una smorfia nell’altro angolo della bocca e la mano che graffia l’aria come un richiamo per l'orchestra, un segno, un punto che avverti, t'accorgi subito nell'evoluzione degli arrangiamenti musicali. Un orso arruffato che sbadiglia nella sua tana. Poi raccoglie tutta la musica e le parole che ha dentro e le spernacchia nel Kazoo, surrogato di quell’orchestra diretta dal maestro racchiuso nel suo fascio di luce a cono di un riflettore potente, intorno a lui, il buio. Il finale è una miscela che con la sua impetuosa vitalità travolge l’atteso con un inatteso carico di estro, arguzia, spigliatezza, lasciando dentro a chi ascolta, una traccia viva, un sapore inconsueto e contrastante e la consapevolezza, solo accarezzata, di aver visto balenare la poesia, grazie al "vino che spara fulmini e barbariche orazioni che fan sentire il gusto delle alte perfezioni".
Ossigeno, ossigeno in più, pompano le casse audio in concerto, le Behringer.
L’ORCHESTRA di Paolo Conte al completo.
Un esnsemble musicale che indica l'utilizzo contemporaneo
di tutti gli strumenti e di tutte le voci presenti in musica

L'orchestra,



decollava
LE CANZONI romanzate dell’avvocato astigiano arredano un mondo di provincia “universale” con i suoi sapori, umori, rumori. Le nostalgie ziesche, le costanti partenze, la nave come donna di cuore, l'orchestra che si dondolava come un palmizio, le lampade al lampo, i temporali afrodisiaci, chi teneva la porta aperta davanti alla primavera, la pista dei boschetti e poi una città rifatta da ragazzo e ritrovata in parte a Genova, la madre della favole del mondo di Conte.
STRIP di Paolo Conte
POI la sorpresa evocata, desiderata, agognata, il cammino fra le cose per renderle immense, monumentali, con un’operazione d’odio per tutte le retoriche assenti e presenti. Parte da lontano la sua musica. Attraversa tutto il ‘900 portando con sé lo spirito dolce di un secolo terribile e di tutte le sue varietà musicali. Oscillante fra Jazz e canzone d’autore, raccoglie e fonde varietà musicali. La vena ironica si scopre nelle situazioni narrate per immagini che si accumulano, nel linguaggio brioso e bizzarro, ricco di ritmi e impennate, nell’interpretazione vocale dell’autore dalla quale è impossibile prescindere. Situazioni che spingono al sorriso o forse sarebbe meglio scrivere alla complicità, senza invitare mai al riso, si dispiegano con naturalezza tigrata o maculata. Persino le immagini che richiamano fughe verso paesaggi esotici lasciano intatta l’impressione di assistere allo scorrere di una pellicola d’epoca. Il linguaggio distante è uno sguardo sul mondo da un’angolatura mai svelata ne capita, offrendo al tutto un’aria di mistero e di non detto per incapacità, forse. "Le donne non si capiranno mai. Neanche tra di loro si capiscono, figurati se ci riusciamo noi uomini".
80 autunni, più che primavere

Forza
Paolo,
è ora!
L’UNICA VOLTA che intervistai Paolo Conte fu nel 1997 in piena primavera al teatro Petrella di Longiano per la conduzione dell'art-director Sandro Pascucci che sapeva raccogliere il meglio (come anche Fabrizio De André, Fossati, Conte, Capossela...) che gli anni ’90 offrivano e mi sono vergognato come poche altre volte m'è accaduto nel mio lavoro.
Libertà e perline colorate,
ecco quello che io ti darò
E LA MILONGA?
Lui sarebbe andato in scena alle 21,30. Io arrivo al Teatro Petrella a Longiano alle 21,08 e m’infilo nel back-stage conoscendo a menadito il retrò del teatro diretto allora dal buon Pascucci, dove attraverso un pertugio nascosto che esiste solo per chi, come me, lo conosce, e saltando tutti, silenziosamente, il pertugio, mi conduceva verso il camerino degli artisti, tante volte l'ho fatto. M'incammino nel corridoio e incontro proprio lui. Capì subito che la fortuna era con me quella sera. Mi avvicinai, mi presentai e iniziò l’intervista. Durata un quarto d’ora, prima del concerto. Apro il block-notes per accorgermi d'essere privo di biro. PORCA ...
La penna d'inchiostro
LUI SEMPRE più goffo e tranquillo, gentile e sornione, mi offre la sua, una penna a sfera che probabilmente poteva essere di Marcel Proust dallo stile e la laccatura in Peltro turco (mi dice notando e ridendo del mio stupore davanti ad un oggetto semplice ma non comune), incastonata di rubini. Pensai: per fortuna che ho dimenticato la mia Bic a sfera, altrimenti avrei fatto la figura del beghino "collotorto" senza neanche accorgermene. Ammesso che l'abbia poi pensato. Passano velocissimi quei 20 minuti che arriva il mio amico e suo tour-manager Renzo Fantini che gli ricorda sull'incazzato: “Paolo, su, è ora!”, facendomi cenno d'aver pazienza. Capisco, soprattutto sento il rumore del pubblico che ha pagato 100 mila lire per vedere e ascoltare alle 21,30 Paolo Conte. Non mi pareva il caso di approfittare ulteriormente. Annuisco, quindi. Paolo Conte resta lì, del resto poco importa. Tanto a Parigi piove sempre. Tutto il resto è già poesia. E torno a Rimini in redazione per scrivere la mia intervista per il Messaggero a Paolo Conte e faccio le 23 spaccate. E' ora di darsi all'alcol.