domenica 7 gennaio 2018

Gli ultimi giorni di Pompeo

Sono Andrea Michele Vincenzo Ciro Pazienza.
Ho 24 anni, sono alto 1 metro 86 centimetri e peso 75 chili



mutanti alla






infelicità





di Matteo Tassinari



Vivo sulla lama, mi commuovo nei bassifondi, parlo coi ricercati dallo Stato, brigo, mi procuro e dilapido milioni, poi, rischio, mi struggo, mi umilio, mi arrendo, poi mi faccio, si, e tutto torna bello, più splendente di prima! L'alternativa è la birreria, il lavoro, e poi il risparmio, la pensione per il futuro, il normale sfaldarsi del corpo, lo studio, l'amorosa ricerca, lo scemo naturale, l’antipatica gnocca, due più due fa quattro, sveglia alle otto, viaggi, incidenti in pullman, Milano, Bologna, cene d’affari e non valgono quei personaggi più di quegl'altri, mutuati della felicità. Palle anche lì, palle peggio di qua. Vuoi mettere risorgere, risorgere, risorgere... (Pompeo).

Morì il 6 gennaio. sbagliò la data, ma solo per spavalderiaPoteva permetterselo




L'anticipai appena,

nel ‘79 m'avviai presso


ilididi Macondo


Dapprima

 ldomino

e ci gioco,

quando sono 


stufo apro gli 

occhi e 

scompare... 


Mi dico, 


giochiamo con 

una piccola 

paranoia, 



arricchiamola

di elementi.

Manteniamola

  sospesa


precipitiamola,

e via 

così. Finché 


t'accorgi


che non ti riesce 


dimenticarla.

Daquantotempo 

sono  qui?


E il mio 
amorino?

Quella zoccola

di Raffaella

com'è che non la 


sentoAprire


aprire gli occhi!


Quanto buio,

quanto soffro.


Quanti problemi ho!


E poi? SOLO,

un leggero dondolio...





































































































MOLTO PRIMA  che Trainspotting, libro di Irvine Welsh e poi film di Danny Boyle, celebrasse con sarcasmo le virtù dell’eroina a livello specifico, Andrea Pazienza firma quest’amarissimo ritratto, Pompeo, di vita tossica postmoderna nella conclusione di uno dei capitoli più duri di Pompeo e della vita del Paz. Uscito a puntate su Alter Alter a partire da aprile 1985 e poi in libro per Editori del Grifo due anni più tardi, Pompeo, la sua immersione esistenziale, nasce sulle macerie della vita che Andrea mena negli ultimi tempi a Bologna e che nel mio piccolo, per qualche annetto, ho menato pure io. Siamo fra il 1983 e il 1984. Dopo il gelo degli anni di piombo, godiamoci il calduccio di questi cinici anni '80, noi, capaci di scardinare qualsiasi ordine e rompere regole appena siglate. L’anticipai di poco, iniziando a ballare la rumba al ritmo del santa Sangre, nel 1979, cessando l'attività endovenosa nel 1985 in una Forlì che sembrava Cantù o Cefalù, forsCanicattì ma anche Corfùnon ricordo, spenta come la nebbia, plumbea come un appannamento, fervente come un povero mito, accesa come la notte, morta come la sabbia, in coma come Pompy. Per fortuna c'è il Narcan. Due volte, la città di pomeriggio ha subito un'eclisse molto personale, per ritrovarsi in ospedale furioso col Narcan nelle vene che aveva bruciato ogni ombra di oppio. Chiesi incazzato: "Ma Perchè?, incurante e al di là del fatto che m'avevano salvato la vita. I tossici e anche Pompeo dunque, avevano il privilegio di poter dire queste cose impunemente avendo ragione, "perché mi avete bruciato l'oppio che adesso sono di nuovo in down". Le città italiane con l’accento, sono destinate ad essere le più sfigate, l'ho sempre detto. Destino carogna, non mi hai mai voluto bene neanche qui. Cosa centro io con Forlì? Niente!
Pompeo
e l'immersione
esistenziale  del Paz
La vera partita persa, non sta tanto nelle sua arte espressa che è già un tesoro, ma nella terribile consapevolezza della sconfitta di fronte al magico, quanto folle, mondo delle polveri. Non so se sia possibile rappresentare il caos mentale di un tossicodipendente, il suo dolore, la sua solitudine, le sue paure che presenta a chiunque per intero. Pompeo è il tentativo più riuscito nel cercare di offrire l’esistenza estinta di un tipo di tossicodipendente d'epoca, un prototipo di tossico archiviato alla storia, il classico eroinomane fine anni '70, inizio '80, quello che se non c’era l'eroina mancava tutto, associando litri di metadone, passando per quel cavalca via che ci ha voluti tutti interi e noi ci siamo dati senza tanto pensare. Pompeo è la sofferenza esasperata e incomunicabile di un tossicodipendente da eroina di quel periodo, lo capisci, narra la routine e lo stillicidio di Pompeo nei suoi ultimi giorni esistenziali. E' la sua morte annunciata (facile a dirsi adesso, per carità). Una morte fra il voler smettere di soffrire ricercando un posto migliore di quelli dove tutti si ritrovano il sabato sera, trattenendo questo autunno prima che tutto geli. E qui, sarebbe ingiusto non evidenziarlo,  si alza la poetica di Sergej Esenin nelle tavole del Paz, grande poeta russo che Andrea amava come Mayakovsky, seppur i due fossero estremamente diversi nella stessa arte.





MA', io ti voglio 
tanto bene...



Pompeo rifiuta l’omologazione di un mondo senza sogni. Ma tra disegni oscuri e acerbi, slang duri, di plumbeo agglomerato urbano, troppe volte con i nostri occhi abbiamo visto questo cielo pesante, così come una pizza bianca con molta mozzarella. Insopportabile. Più volte, gli occhi, si sono aperti, per vedere “un cielo così bianco” e immagini di spontanea meraviglia, di bambini con le loro madri, che portano negli occhi il sole. Immagini veloci che si abbandonano e sfumando svaniscono. La telefonata alla mamma è più un addio che altro. “Oh, è tutto il giorno che chiamo, ora mi sono detta, fammi riprovare, tutt’al più dormirà. Tesoro, la mamma ti pensa sempre, papà non è stato bene in questi giorni, ora lunedì lo porto a fare una visita a Bari… Ma' che c’è, ti sento… dillo alla mamma… pronto?… Il diciotto si sposa Barbara, mi raccomando. Ti sto facendo un maglione bellissimo, vedrai… Che hai, la mamma ti sente… così distante… Vieni giù, ti riposi, vai a San Menaio”. “Non posso mà, devo finire una cosa. Mamma mia”. “Dì alla mamma cos’è successo”. “Mamma! Mamma mia! Dai un bacione a papà, a Pizza Pozza, a…”. “Sì, sì… Ma cosa c’è, perché piangi?”. Mamma io… ti voglio tanto bene, tanto… Ricordatelo sempre… capito mà. Hai capito, mà? Ti voglio bene”. Il romanzo si chiude con una lettera, una postilla a “Gli ultimi giorni di Pompeo”. Pazienza dice: “si chiude un lungo capitolo della mia vita, iniziato ‘fumettisticamente’ nel 1977. Ho scoperto che non sono un genio. Sono un fesso qualsiasi. Sono passati 9 anni. Volati. Ora vivo in campagna”. Era un genio con “un immenso talento”. Tutti pensavano che Pazienza ce l’avesse fatta e invece… Pure lui, come molti, non ce l’ha fatta. 


ANDREA tiene lezioni di fumetto all’Istituto Tecnico Aldini Valeriani a Bologna.  La crème bolognese del fumetto aveva dato via alla “Scuola Zio Feininger”, che all’inizio del Novecento si era dedicato al fumetto per poi passare alla Bauhaus di WalterGropus. Pompeo corre alla scuola. L’istituto è enorme, corridoi, la segnaletica inesistente. Qui e lì, s’illuminano le aule di vari corsi serali. Pompeo va nel cesso a farsi una pera. La sesta dalla mattina. La seconda classe è come una vagina, un pubblico per lui che è rimasto solo. Parla, parla, parla. Si crede un poeta. Fattissimo, non può durare. E non durerà. Che incuboFattissimoNon può durare. Esce anche da questa ora di lezione abbottonandosi la patta.
Dà il cambio ad un altro.

hhhhhhhhhhhhhhh


Come fosse stato...


SPINTONATO




 FURORE 

Mi sono sempre chiesto se il Paz, mentre disegnava Pompeo,
avesse la premonizione che stava facendo un capolavoro.
Poi mi sono sempre risposto: 
"Ma nooo.. in quel momento, Andrea
aveva ben altro a cui pensare...




SUPERANDO

Céline e Cioran


POMPEO è un magma vulcanico bollente, in quella stagione acida come un trip andato a male, chi non voleva riscaldarsi al calduccio del Monclair, oppure buttare i propri piedoni in un paio di Timberland, tanto amate nei penosi anni ‘80.
Il rifiuto veniva eletto a modello dell’antagonismo sociale, che spesso tragicamente, sfociava nella marginalità. A molti di noi che correvano su quel fil sottil di stagioni folli come quegli anni, in Pompeo, avevamo scovato qualcuno che sapeva, o sembrava saperlo, come sublimare tutto ciò. Lo eleggemmo a nostro vangelo, Pompeo, ma senza entusiasmo, perché le cose se le fai in quelle condizioni, è già molto, poi parlare di entusiasmo, mi pare davvero da stronzi, eccessivo, volgare. Un'escursione nell’inconscio-sconcio connesso al tormento, all'angoscia di chi capisce che non ce la fa più e la mestizia albeggia come ogni santo giorno. Allegato a quel genere di stile di vita, cronaca di un'esistenza cadenzata dalle dosi, dai soldi, le siringhe, conflitti mentali, collera inespressa per provare a divorarsi fino a riuscirci e dalla presunzione che ti poneva in condizione di non cedere tutto al senso di colpa e scaricare qualcosa a qualcuno. Alla fine degli anni '70 e l'inizio dei miserrimmi anni ‘80, comparve l’Aids e noi inconsapevoli l'abbracciammo quasi tutti, perché non volevamo farci mancare nulla o forse volevamo superare Louis-Ferdinand Celìne nei nostri viaggi notturni e molti ce l’hanno fatta.


Esistono persone al mondo,
poche per fortuna, che credono di poter
barattare un intera via crucis con una
semplice stretta di mano o una visita
ad un museo e che si approfittano
della vostra confusione per passare un
colpo di spugna su un milione di
frasi miliardi di parole d'amore


Gli estremi
cavilli
del Paz

Ci mostrava il suo modo di lavorare che non è stata cosa per tutti, anzi, solo per alcuni,
per pochissimi, quasi  nessuno, oltre a lui e forse due o tre Paz che verranno fuori chissà quando.
Il tratto supremo, non consisteva nel disegnare in sequenza, da una vignetta a quelle successive. Lavorava su una vignetta priva d’ogni riferimento e che riempiva di cose fantastiche gli angusti fogli bianchi, carogna e avara tavola. Al cuore nell’estremo momento della stanchezza. Vederlo lavorare era un evento appassionante, un momento alto e altro, un’esposizione dove
anche i cavilli, i dettagli più minuti, più piccoli, sembravano essere trascurati, poi, un’ora, la prez
e poi passava ad un’altra che si trovava da tutt’altra parte nella pagina. E insisteva su questa cosa del kendo, del disegnare con lo stomaco, con la pancia, colpire a iosa la tela che s'era  arricchita di ogni visione impossibile ai più. Arrivava con una spatola e gli dava il colpo d’ascia del mestiere, dell’artista, quel rapsodo talento raccontato con una lingua lirica e simbolista. Arrivava lui che portava con se l'ultimo, basico, ingrediente. Quello che mancava lui l'aveva.  Cenerentola, tieni sempre gli occhi bassi. Bassissimi, e veste sempre nero, questa vedo pupattola.
E dolce come un mango maturo, pulita, tenebrosa, mai sfigosa, che grinta in quelle frasi mozze, che passione sonnolenta. Una volta, Pompy, di passaggio da Forlì, era andato a trovare Cenerentola alla fattoria dei genitori. Rimane lì per la notte. Solo una bimba che mi viene ad insegnare come devo bucarmi, mi parla di calli che ne sa neanche cosa siano, ma stai zitta, scema! E lei l'ha fatto, si, forse al cinema, dice che fa l'attrice. Bo. Ho altre storie. Quella notte Pompy desiderò diventare sano. Avrebbe sopportato l'ennesima rota, o down. Ma si sarebbe rimesso presto a fare esercizi. Per poi sdraiarsi sul letto, con gli occhi chiusi, la sigaretta accesa, il cervello che va a mille sotto diversi strati di isolante.





A  volo d’uccello


Quando sai analizzare cose e persone all’impronta, immediatamente e senza sbagliare, è ovvio che ne può uscire una critica eccessiva come estremamente benevola. Le lezioni erano sempre improvvisate, una volta disse: “Disegnate le cose a volo d’uccello”, intendendo dire di guardare il mondo dal punto di vista di un uccello in volo e cominciava a disegnare col pennarello su una lavagna bianca ai 500 all’ora un affresco grande 5 metri per 10 di colori, cavalli, fiumi, montagne, cavalieri e puledri in impennata. Magari si trattava di qualcosa su cui stava lavorando fino a poco tempo prima. Più facile che improvvisasse. Con l'improvvisazione, c'andava alle fottute nozze.
GLI ULTIMI
GIORNI DI
 POMPEO
E' scontato che Pompeo
sia la
rappresentazione artistica meglio riuscita su come si vive la eroina. Meglio "Degli ultimi giorni di Pompeo" nessuno seppe mai raccontare così dettagliatamente l'esistenza di un tossicodipendente del 1980. Tutti rudimenti che fanno di Pompeo un vero capolavoro privo dello scorrere lento del tempo. Visionario, ricchissimo di citazioni, testi, ipertesti, rimandi concettuali e slang puro in 180 pagine. Gli ultimi giorni di Pompeo è un testo da proporre in tutti gli istituti scolastici superiori, se si desidera raccontare, senza cader nella banalità o i soliti luoghi comuni triti e ritriti, senza sconti, ai prossimi uomini cosa sia la tossicodipendenza, cosa sia la spirale di eccitazione e nichilismo, in contemporanea che l’abbraccia stringendolo fino allo stritolamento chi ne fa uso e abuso. Un essere umano, in preda all’eroina, è una tortura. Un presente oscuro che si muove come un'ombra in mezzo all'oscurità, nel silenzio delle giornate estive o invernali. Solo chi ha vissuto quei momenti, quei down da eroina e metadone, "robe" da correre e sbattere la testa contro le pareti e sentire un freddo anche con tre maglioni addosso e un plet di lana che copre inutilmente il corpo di Pompy ormai divenuto foglia autunnale, sempre pronto a cadere definitivamente.

Andrea muore il 16 giugno del 1988, a 32 anni e il cielo s’intristì. Qualcuno di irripetibile, ch'era riuscito, per davvero, a raccontare l’irrequietezza ai sognatori del Dams, dell’università, dei mercatini all’aperto, di chi in strada ci viveva, illusi idealmente quanto utopisti per mestiere, disincantati per vocazione ed eroinomani per necessità aggiunta. Un'inquietudine che è facile immaginare; un racconto che va avanti senza un canovaccio preciso. La ribellione di una generazione che, come scrisse Tondelli: non era stata capace di credere veramente in nulla, se non nella propria distruzione”.
PIER VITTORIO 
TONDELLI

Non mi svegliate, ve ne prego,
ma lasciate che io dorma questo sonno
(Banco del Mutuo Soccorso)

Ci sono cose che non dimentichi, mai, una a caso: “Se volete che un fumetto (di 8 pagine ad es.) appaia omogeneo senza far percepire che avete affinato i personaggi man mano che li disegnate, o al contrario che arrivate esausti alla fine con un calo di qualità, fate così: INIZIATE da META’! Arrivate alla fine e poi disegnate le prime tavole.” Questo modo immediato di affrontare la tavola definitiva è tipico del Paz, la carta è il catino dove riversare (col pennarello) quello che nella mente è stato velocemente processato, sintetizzato, armonizzato con un unico fine: ipnotizzare il lettore.
 Come fosse stato spintonato
Per molti di noi, è il testamento artistico di Andrea Pazienza
Questa massima pazienziana, recitata con la solita enfasi connessa allo sberleffo ironico talentuoso, non è mai gratis, la devi conquistare stando con la gente, affrontandola, giocandoci, ammirandola, fregarsene, offenderla o stimolarla. Vive il dramma di una sensibilità enorme con la leggerezza della farfalla incapace di volare. Mi viene da pensare che prima ha volato molto in alto il Paz, dimostrando la leggerezza, la libertà, l'innovazione di un vero poeta, con le sue tavole e la poesia circoscritta in esse, con quella scia mortifera che l’edonismo reaganiano lasciava dietro se. Gli esempi sono tanti, ma quando si parla di un genio, non si può affiancarlo a momenti precisi, Andrea soffriva, ma spaziava, e lo faceva con sapienza e cognizione di causa. Pareva che in lui risiedesse la capacità di trovare un tratto portentosamente incisivo.