martedì 24 aprile 2018

Poterti parlare

Noi possiamo chiudere col passato, ma il passato non chiuderà
mai con noi. Solo sorella morte banalizzerà tutto


Comeunagocciadi splendore



   Circolo Nautico di Ravenna, un Pirata
ANNI FA MIO BABBO ABBRACCIAVA LA CROCE fino a diventarne una cosa sola e per sempre. Il gran finale avanzava. Con mia mamma, ero all’ospedale per malati a lunga degenza di Rocca san Casciano, un paesino pigro dell'entroterra romagnolo, un gran bel posto se ci si vive per una settimana, poi diventa una gran noia. Un “Ospedale deposito”, per i casi più disperati. Lì, mio babbo dormiva e viveva da molti giorni. Un Parcheggio di carne umana in attesa che si spengano definitivamente tutte le luci di "casa" ed i rumori che prima di partire per l'aldilà, compagnia gli facea e ora i cuor rammaricar fa. Così, parlarti e scriverti, non mi aiuterà a riportarti qui, e non è neanche facile trovare le parole migliori, ma questa sera vorrei ricordarmi ancora una volta che ci sei nonostante tutto, nonostante quest'assenza del tutto, ma che al tempo stesso mi avvicina a te, il giorno in cui potrò rivederti potrò dire di aver vissuto.

ALVARO, SUO NOME DI ORIGINI spagnole, che a lui però non piaceva proprio e affatto. Era troppo dandy mio babbo, e portava solo maglioni di Lambswool, pregiata lana ricavata dal vello degli agnelli, di produzione inglese, molto morbida o Ballantyne, e portava maniacalmente un impermeabile Burberys, una casa di moda di lusso britannica. Ma quel nome, Alvaro, che sembrava di dire Alvarez, proprio lo metteva a disagio quando si doveva qualificare. E questo per 84 anni! Poveretto. E' brutto avere un nome che non ti piace. Ad esempio chiamarmi Ugo non vorrei mai, anche se mi pagassero cento mila euro, ma con Matteo, che nel '63 eravamo in tre in tutto il mondo, mentre oggi è il nome più inflazionato assieme a Paolo e per femmine Beatrice, va forte. Statistiche. Una volta mi bisbigliò sotto voce: "Ma che razza di nome è, Alvaro?", feci finta di non aver sentito nulla per non infierire ma come lo capivo dall'alto del mio Matteo, che poi fu lui a mettermelo quando tutti dissero allora: "Ma se lo chiami Matteo dopo tutti lo chiameranno Matto". Nel fiocco! Del mio nome sono fiero, molto meno del mio cognome, assomigliando, io, assai poco ai miei familiari.


L'ETICA della MORTE


ALL'AEROPORTO COL SEDERINO APPOGGIATO
SUI GAMBONI DI MIO BABBO
HO SEMPRE AMATO MIO PADRE, anche se gli lo nascondevo per svariate ragioni e nonostante il rapporto ondoso. Per fortuna esistono gli eufemismi. La realtà del morire e quella del soffrire, che molti non conoscono, come un mio primissimo parente maschile con la chioma folta, una volta, ora pensa solo a bruciare tutto al suo passaggio, con astuto cinismo, come una banca dove ha passato metà della sua esistenza che non cambierei mai con la mia, off course, costituiscono aspetti topici dell'etica umana da sempre, con il quale l'uomo si misura per non essere troppo preda dello spavento. Per semplice paura, ma si sbaglia, perché il rimuovere la dipartita, la morte, come la maggioranza silenziosa fa, aumenta solo il terrore, l'angoscia del crepuscolo. Bisogna ampliare i discorsi sulla morte, come nelle culture dell'Est del mondo, dove la morte è anche vissuta come un momento della vita e la rende meno "nemica". Chi non ha mai vissuto un dolore del genere, non può capire quella intensità, ma per carità, non c’è alcuna fretta, consapevolmente, continuate a vivere in serenità. Possiamo vivere uno stato d’empatia (che non è poco) lasciarsi coinvolgere dalla sofferenza di chi perde un padre (che non è poco), una figura basica della mia vita (che non è poco) e che è sparita. Ma non riusciremo mai a capire fino in fondo cosa significhi perderlo per sempre, non poterlo toccare, parlargli, guardarsi. Fino a capire che grande Mistero che è la vita, e come noi siamo indifferenti a ciò mentre passiamo le nostre giornate in salute. Poi a farsi poderosi quanto numerosi Spritz con affumicati vari, sapientemente preparati da chi vende alcol, che di suo ammazza in Italia, 30mila persona all'anno. E tutto questo non da ieri, ma da sempre, l'italia cosa fa? Vieta la Marjuana, che in certe malattie è molto meglio degli antidolorifici chimici invasori dappertutto, ma la scienza, si sa, è il top dell'ipocrisia. Direi che rasenta Big-Pharma.

IL RESTO DELLA FAMIGLIA. 3 CULI SUL PORTO DI M.M..
IO SONO LO SBARBO DAI PIEDI SPORCHI DI SABBIA BAGNATA


NON VOGLIO PERDERE TEMPO in preamboli insipidi e abusati. In certi momenti, leggere frasi, libri, poesie, dediche che a lui ti rimandano col pensiero, è lenitivo, può essere un emolliente momentaneo per l’assenza di quella figura d’uomo che amavo tanto e non lo capivo. Ma non è più il tempo dei pedalò, i piedi sul "bagnasciuga" di Milano Marittima al bagno Sesto, ora siamo entrati nella generazione 2.0, e fa male alla letteratura babbo e alla gamba destra. Ci fossi tu, forse qualcosa cambierebbe. Pensa, ti evoco spiritualmente a 55 anni come farebbe un bambino con suo padre. Il fatto è che tu lo sai quanto mi sei caro. E' l'ora dello strazio e del non capire. "La morte non esiste, Matteo” mi disse una notte. “La gente muore solo quando viene dimenticata" mi spiegò mia padre. "Se saprai ricordarmi, sarò sempre con te". Poi mi prese una mano e con gli occhi mi disse quanto mi amava, finché il suo sguardo non divenne nebbia e la vita uscì da lui con troppo amore. Ho vinto quando voi scappavate e io restavo lì a combattere, ho vinto quando ero solo e non ho mai pensato di arrendermi, anche quando nessuno credeva che ce l'avrei fatta. Ho vinto tutte le volte in cui la vita ha cercato di farmi chiudere gli occhi e invece guardavo avanti nonostante tutto. E' inutile, non siamo mai pronti. Non è mai il momento giusto. Nel momento in cui la morte verrà, non avremo fatto tutte le cose che volevamo fare. La fine arriva sempre come una sorpresa ed è un momento di lacrime per le vedove e per i bambini che non capiscono davvero cosa sia un funerale (grazie a Dio).

FOTO D'EPOCA Non ho mai sopportato di mettermi in posa per essere fotografato, era una fatica immane che anche da adulto un pò è rimasta. Io e mio babbo a Castrocaro Terme a guardare dove c'era un pò d'erba (non da fumare) ma per giocare a pallone, impegnatissimi entrambi


L'amore s'è fermato a Cesena


  di Matteo Tassinari  

A 18 anni giocava coi suoi amici, nel mese di ottobre, assieme ai delfini all'imbocco di Porto Corsini, dov'è nato. Un vero uomo di mare. Il soldato? Era Corazziere del Battaglione San Marco Venezia, con un fisico così non potevano mica metterlo a pulire i bagni, con tutto il rispetto per i bidelli



Pronto, ospedale Pierantoni


ERO TRA L’AVVILITO E LO SROTOLATO sul divano di casa per leggere un giornale quando squilla il telefono e inizia a tremare il mondo. Sono le 13,30 del 3 gennaio 2005. Lo ricordo esattamente perché sentivo nell'aria le note che aprono il Tg1 che inizia puntuale a quell'ora. Guardai mia mamma e chinammo entrambi il volto. Risposi al telefono, essendo il più vicino al ricevitore. Alzai la cornetta e una voce sconosciuta mi chiese: “Pronto, casa Tassinari?”. "Si", risposi. “E' l'ospedale Pierantoni, reparto chirurgia intensiva. Lei è il figlio di Alvaro Tassinari". "Si". "Mi dispiace, ma la devo informare che suo padre è deceduto pochi minuti fa”. Il resto non lo ricordo e non m'impegno nell'opera di rimembranza. Da allora, una voce mi s'è incastonata nella mente, un grido che ripete incessantemente le seguenti parole: prova tu, anche se è tardi a trovarmi. Tu insisti, se non ci sono in un posto, cerca in un altro, perché io sono fermo da qualche parte ad aspettarti, non scoraggiarti mai. Da tre giorni mio babbo era ricoverato sotto “Osservazione permanente”, per una caduta avvenuta in casa alle 23,30 del 31 dicembre 2004 dalla seconda rampa di scale discendendo. Cadde a terra e le convulsioni accompagnate da una tosse nervosa davano il senso della drammaticità di quell’ultimo dell’anno, quando in mezzo ai botti e alla festa circostante all'ambulanza 118 che saettava a sirena spiegata verso il Pronto soccorso in mezzo al traffico festoso. Io e mia mamma con mio babbo steso in una brandina con la maschera d'ossigeno e altri tubi che non saprei spiegare. Da mordere la vita coi denti e farla sanguinare e poi bere d'un sorso tutto quel fiele e sputarlo, sfigato a chi gli arrivasse uno schizzo del liquido melmoso mescolato a melma a palta. La morte è sempre una sorpresa, nessuno se l’aspetta. Neanche i pazienti terminali pensano che moriranno tra un giorno o due. Forse tra una settimana, ma solo se la settimana in questione è la prossima e non quella corrente. Non mi ha mai detto che stava per morire. Anche quando era disteso su un letto d’ospedale con tubi ovunque. Il medico ci ragguagliò sulla notizia con tutta la sensibilità e tatto, che i medici perdono nel corso degli anni, per divenire più malati delle malattie che curano a chi è malato veramente.



LA MIA VITA STAVA CAMBIANDO sotto i miei occhi se ne andava la persona che nonostante l'affannoso aggancio o connessione, era colui che mi portava all'aeroporto in bici sul tubo a sedere per vedere da vicino gli aerei che partivano e arrivavano, e la domenica a mangiare fuori quando scoprì per la prima volta la rucola nell'insalata e me ne innamorai al dente e follemente. Ho la sensazione che ci rincontreremo presto babbo, per certi aspetti, questa, è la storia magnifica che possiamo fare per riacciuffare il discorso iniziato in quelle poche e mistiche notti delle contemplazioni e della dimensione del sacro, quella che comporta una esperienza diretta, al di là del pensiero logico-discorsivo e quindi difficilmente comunicabile, svolgendosi tutto su un piano ascetico e trascendente, quindi avulso dal solito bla bla bla, perché i grandi cambiamenti avvengono sempre nel silenzio, quasi mai nel clangore. Il quid dello stupore e tutta la sua magnificenza è forse più difficile da spiegare del dolore. Basta con questo illuminismo comunque post e sempre lo rimarrà, caduco ed effimero. Il solito cicaleccio passeggero, un Hurlyburly davvero, meglio del miglior Sean Penn in cocaina. Nell'estasi mistica l'uomo si unisce con la "Verità ultima" della propria esistenza e dell'intera realtà cosmica e questo è fruitore di questioni fondamentali e paurose. Mi vedo nello studio a sedere l'uno accanto all'altro a dirci tutto quel che non c'eravamo mai detto in una vita. Che bella voce avevi in quelle notti babbo, preoccupata per me, affettuosa per me, simpatica e premurosa per me, tragica, drammatica e strana per me, una voce sempre per me, questo era il punto! "Matteo, quando sei in difficoltà, rivolgiti alla nonna Maria", mi ripeteva in continuazione, ed io più che a credergli gli dicevo di si per accontentarlo per poi ritrovarmi a farlo convinto ma dentro era la guerra atomica, non mi sembrava vero che mio padre mi stesse morendo davanti, sul mio naso, il fatto è che lo sapevo. 


Eri ciò che non sapevo

SOLO MANCANDOMI HO CAPITO quello che eri, ma è sempre così, scolpito ora sulle mie pietre su cui poggia e balla la mia claudicante esistenza. La morte del padre è sempre, per qualunque figlio, un dolore mescolato di rimorsi e incertezze. Mi sei stato presente per 45 anni e non sono stato capace d'involare un TRAGITTO a PLANARE di DOLCEZZA, se non quei giorni finali, prima in ospedale, poi a casa, poi in sala di rianimazione, come se Dio ce li avesse voluti far vivere a discapito di quella vita indifferente sul paniere degli affetti e ammalati di nostalgia di tutto. In quegli ultimi giorni riuscimmo a dirci molto di noi, non superficialmente, confidandoci segreti tenuti nascosti per decenni. Io vi vedo una grande generosità, un'immensa voglia di scusarsi l'uno all'altro, al punto che ancora oggi questo atto lo considero "santo". E tanto per scrivere qualcos'altro e fare la chiusa, ti sgancio un bacio babbo, un bacio con l'affetto degli ultimi giorni. Paradossalmente, diventati i primi in quanto a valore, profondità e importanza. Noi non siamo soli e la speranza rinascerà sempre nel nostro cuore perché si nutre dell’amore di chi, pur avendo lasciato questa terra, continua a vegliare su di noi.

COLORO CHE ci hanno lasciato non sono degli assenti, sono solo degli invisibili, tenendo i loro occhi puntati nei nostri

Un tacito consenso per una"pace armata"
LO STADIO MANUZZI DI CESENA, dove ogni domenica, quando militava in serie A, fra me e mio babbo scendeva come un velo, un tacito consenso per una (PAM) ossia una "Pace Armata Momentanea", definizione pazzesca a pensarci. Se pochi minuti prima le avevo prese, alle 13 ero già in tiro coi pantaloni alla Zuava a prendere il treno per vedere il Cesena al Manuzzi. Che poi, a me, la cosa che più piaceva, era lo stadio, questo assembramento pazzesco di persone in questo catino volante e surreale come una navicella spaziale. Tutti a guardare nella stessa direzione, una piccola sfera in cuoio che gira, gira, gira... È nella condivisione che si sente e si capisce la forza con cui si ama. Del resto, non è vero che ogni separazione ci fa presagire la morte.
Quando meno te l'aspetti, ARRIVA!
CON MIO BABBO (non papà come dicono in Lombardia, qua in Romagna diciamo babbo, come balbettare per due volte la lettera B) non avevamo molti punti in comune, per la verità non ne avevamo proprio. I nostri canali da sempre si erano interrotti e la comunicabilità era pressoché azzerata se non nulla a parte le urla e le botte allegate agli insulti. Me le suonava spesso e io gli davo tutti i motivi per darmene il doppio. Io raccoglievo. Ma col carattere di un adolescente veracemente ribelle, non gliene risparmiavo uno e lui giù botte come le rane che piovono dal cielo nel deserto, fatto biblico. Era un dare e avere. Un dare e offrire, senza sconti, democratici. Entrambi speravamo nello sconto dell'altro, solo che eravamo due teste di marmo e i prezzi erano bloccati. Nessun sconto d'affetto. Mi ritrovavo quando col mio sacchettino d'eroina andavo all'Hotel Marta, dove andavo per una settimana senza mai uscire e il mio sacchettino che mi teneva imprigionato tutto il giorno in quella bella stanza, ma desolatamente sola, vuota, ma l'eroina copriva tutto, per poi trovarti nella fogna più di prima. Uscivo la sera per comprare un cabaret di paste. Poi tornavo all'Hotel e mi inzuppavo di bignè, diplomatici, bomboloni, cannoli, crema, cioccolata, spumini, e qualche volta un pò di frutta. Il deserto mi stava addosso come una spirale sempre più profonda e oscura, un gorgo, un mulinello, e io non capivo un fico secco. Cosa vuoi capire a 17 anni del resto? Quando un uomo si rende conto che forse suo padre aveva ragione, solitamente ha già un figlio che pensa di lui che si stia sbagliando, un po come il gioco dell'oca giri, giri, giri, per ritrovarti sempre con le stesse dinamiche, in evoluzione, in moto, in movimento, snello, alacre, impegnato, laborioso, operoso, solerte. Il mio destino si stava delineando, ma per me era come un grande gioco tutto quanto. Il lignaggio del Parentado. La vita continua per cammini inattesi, bruschi, fulminei, imprevisti, inaspettati come un repentino estemporaneo e subitaneo casuale gap.

NON ANDO' QUASI MAI COSI'
FIUMI CARSICI che spariscono per ricomparire mezzo chilometro più avanti, acqua che buca la terra, erba che spacca l'asfalto e la rucola è già nel piatto. Per dire che non c'è un patentino per essere genitore. Non sei padre se hai un figlio. Niente automatismi su queste cose. Io non ho figli purtroppo, ma una cosa m'è chiarissima: vostro figlio o figlia, non cercano il vostro amore come voi immaginate. Cerco di spiegarmi, ma non ci riuscirò. Anzi, penso d'essermi già spiegato, in questa vita larga, è bene razionalizzare le poche forze rimaste, ormai vicini al fondo del barile. I vostri figli, vogliono vedere se voi due (genitori!) vi amiate davvero, poi certamente, vogliono anche essere amati. Ma prima esigono l'autenticità del vostro amore, come un sigillo laccato, che sia pulito, candido e libero, privo d'ogni ombra immaginabile o interessi che con la verità fanno a sportellate. Osservano con curiosità se c’è armonia o no fra di voi, se la musicalità della grazia unisce oppure state insieme per interessi e hanno paura di fare scelte per loro mancanza di coraggio o per paura. Quando si è piccoli, non si dice nulla, ma si ascolta tutto. Questo è il dramma, perché nessun genitore, oggi, glielo andrà a chiedere se c'è qualcosa che non va. Non riesco a considerare nessuna necessità durante l’infanzia tanto forte come la necessità di protezione del padre. Se viene a mancare questo porto sicuro, questa Thule personalissima, possono adombrarsi nuvole scure stese lungo i campi di Girasole del futuro, come in un film di Steven Soderbergh. Insomma, io non sono genitore, ma chi lo è, peccato che si dimentichi delle sue responsabilità verso i propri figli e non esistono scuse da parte dei due congiunti, spesso ignari di tutto ciò. Affaracci loro.
Forse saprai che la Peonia è di Jeannin,
l’Altea appartiene a Quost, ma il Girasole
è in qualche modo mio… 
(Vincent Van Gogh)


La verità, vi prego sull'amore


Poeta Wystan Hugh Auden

SI E' MOLTO ESIGENTI IN QUEL PERIODO, scrivevo, lo si è senza accorgersene. A 10 anni vuoi capire la verità sui sentimenti, senza facilitazioni, benefici o concessioni o vantaggi, l'amore, la dolcezza, le tenerezza. A 10 anni non potrai mai intavolare un discorso su questi argomenti, ma la vuoi sapere a tutti i costi, con la stessa intensità del poeta Wystan Hugh Auden quando scriveva e chiedeva come un mendicante: "La verità, vi prego, sull'amore!". O si è seri o niente, il gioco non è un gioco, ma una questione di origini impegnative. Perché le cicatrici aperte nei primi anni, sono le più dolorose e le più difficili da medicare e ricucire e renderle innocue, talune rimangono per tutta la vita devastandola, ci si abitua anche ai traumi più agghiaccianti, bestiali, tanto tutto finirà nel ripostiglio della storia da quando l'uomo è nato, una immensa discarica dove i cadaveri galleggiano senza vita. Quelle poche ore è stato un continuo ricomporre i pezzi passati, trovare la giusta distanza, ricostruire i fatti, cercare mnemonicamente il bandolo, indagare, tornare letteralmente sui luoghi dei ricordi, mettere a fuoco visi, situazioni, contesti, parole che all’epoca scivolavano frettolose e incaute nel rigagnolo della grande storia silenziosa. Questo è il dramma, perché nessun genitore d'oggi glielo andrà a chiedere se c'è qualcosa che non va. Ed il Totem arcaico rimarrà lì dentro quelle carni pressurizzate a non dir nulla, ma nessuno sa nulla come il protagonista della triste commedia umana. Gli stimoli più forti che abbiamo spesso non li conosciamo. Non è tutto un morire ininterrotto. Se si è sani e ci si sente benissimo, è un morire invisibile. La fine, che è una certezza, sarebbe saperlo il più tardi possibile, non 40 anni prima. Bisogna fare una distinzione tra il morire e la morte.



Non si scherza a quell'età


SE SI POTESSE RITORNARE ALL'INTRANSIGENZA della gioventù, la cosa che ci indignerebbe maggiormente, penso sia vedere quello che siamo diventati e capire quello che potevamo essere. Il bilancio spesso, quasi sempre, pende dalla parte della dimenticanza per convenienza. Da piccoli si è severi senza accorgersene, anzi pretendiamo di capire la verità sui sentimenti come fosse una cosa a loro dovuta. E’ lo è! Perché le cicatrici aperte nei primi anni, sono le più dolorose e le più difficili da medicare, talune rimangono per tutta la vita devastandola. Mettendo da parte nozioni pedagogiche genitoriali elucubrate di un “verginello” di 55 anni tondi come un marone per di più senza figli, torno alla telefonata dall’ospedale con mio babbo. La vita è costellata di morti, tanti. Quasi tutti al di sotto dei 30-35 anni. Morti di Aids o cause e concause legate all'uso di droghe pesanti. Erica, una carissima amica di 20 anni, vissuti con grande dignità e una vita col vento che le soffiava troppo forte contro, ma la sua grazia è tutta nel mio cuore ancora adesso, dopo 20 anni. Erica è una grande vittima di questa società devastatrice. Sosteneva con bizzarria pirotecnica e genuina sincerità atossica, che i tossici erano i più scaltri, i più furbi, "i migliori", perché la vita che facevano loro, non l’avrebbe fatta nessuno, troppo dura per tutti, ma non per noi tossici. E aveva ragione. Solo chi s'è infilato l'ago nella vena per vivere la calma piatta, sa cos'è il pericolo vissuto inconsapevolmente quando avevo 15 anni. Se ti fai le pere per un po’ di anni, alla fine degli anni '70, capisci che hai solo due opzioni: una è smettere, l’altra il camposanto. Erica è morta di aids a 27 anni. Paolo, 28 anni, mi ha lasciato nel 1994. Davide è asceso a 29 anni, un adolescentone, amante di Liberatore, Pazienza, Tamburini, Manara, Pratt e tutta quella fauna umana che intorno ai primi anni 80 riempivano fogli bianchi di fantasie colorate, cangianti o monocromatiche che ci permettevano di volare, commuoverci, ridere e prendere spunti per nuove avventure sub-urbane. Era la nostra suburbia, la nostra letteratura, il nostro vivere. Quando hai l'abitudine d'infilarti l'ago nelle vene per spararti eroina almeno tre volte al giorno brown o bianca, di Balzac non te ne fotte un fico secco, figuriamoci di Fiodor Mikhailovitch Dostoievskij. Ma chi cazzo era? Un pusher? Aveva roba buona almeno?
Lupiniliquiriziagassose

SORELLA MORTE, IN OGNI CASO, è argomento da non discutere. Tabù. In questo, le culture orientali sono più emancipate di noi, integrando, nel ciclo della vita anche la morte fin dalla nascita, proprio perché non assumi l’aspetto mostruoso che s'è modellata nelle “civiltà” cosiddette avanzate. Ma come sono arrivato qui, quando volevo parlare d’altro e ora mi sono perso. Succede spesso a chi scrive molto e per la fretta commette errori da matita rossa, blù, verde, gialla, arancione. Come quando parti per Panama e ti ritrovi a Samarcanda passando per Macondo sulla Via della Seta come ultimo obiettivo i monti Urali. Il tragitto è quello, non puoi sbagliare. Forse aveva davvero ragione il grande poeta russo Sergej Esenin, conosciuto come "il poeta delle bettole" considerata la sua frequentazione e la sua inclinazione pasoliniana per ambienti poveri e veri, sudici che non tradiscono, ultimi ma primi, quando scriveva per un giornale dell'epoca a Parigi: "Vorrei vivere in un Paese senza nome, senza origine, privo di derivazioni e radice, nuovo, privo di derivazioni e radici. Vorrei vivere dove il sole e la luna si amano". Che ci amavamo ne ho già parlato, nonostante un rapporto amletico. Però c’era un momento preciso che entrambi ci dimenticavamo di tutto. Dalle paranoie all’incomunicabilità, dalle assenze alle mancanze d’affetto reciproca, dalla freddezza all'indifferenza, le paturnie erano bandite. Un tacito consenso per entrambi. Questo strano fenomeno avveniva la domenica pomeriggio, quando all'una del pomeriggio partivamo dalla stazione di Forlì per andare a vedere il Cesena calcio che all’epoca militava in serie A. Avevo 12 anni e col babbo, mi sentivo sicuro anche quando la curva esplodeva per un gol o c’erano delle risse fra tifosi e tutta la curva sembrava venirti addosso, la fantasia dei fanciulli è alata e lirica. Quanto sarebbe quieta la vita senza l'amore. Tanto sicura, tanto calma. Tanto pallosa! Stavo sotto il suo cappotto. Una volta mi sono infilato sotto il suo cappottone e ricordo che gridò a voce alta alla gente che premeva: "Oh, calma, calma, qui c'è un bambino, pianooo!". La ressa a quell'età fa paura davvero, che paura in tutto il corpo, però con mio babbo sapevo che non poteva succedermi nulla di brutto. Eravamo noi i più forti, perché da bambino ragioni così, semplicemente. Per questo i bambini sono santi. Solo per il fatto d'essere bambini e vivere. E basta. Sono già santi. Diventando adulti quest'aureola protettrice sparisce il più delle volte. L'uomo non è come il vino, più invecchia, più è se stesso, ossia lo scemo di sempre, per essere carini.

COMPRAVAMO LUPINI, SMENTINE E CORDONI di liquirizia e due gassose, una per il primo tempo e l'altra per il secondo. Tutto quel movimento di gente, cori, calca, una fiumana che sembrava pioverti addosso davvero dagli anelli più alti dello stadio, una moltitudine di persone che in qualche modo mio babbo arginava per proteggermi, sembrava un grande abbraccio da parte di almeno 10 mila persone, che grande bellezza! Mi ha dato vibrazioni indimenticabili la curva, sensazioni che non vivrei più come allora, si è troppo sguarniti a 13 anni, quanta vulnerabilità per porre freno a quelle emozioni così dirompenti, appassionate, irrefrenabili da travolgere ogni atomo o molecola della mia giovanissima età e neuro trasmettitori al sistema centrale nervoso ancora verginello. E' tutto più amplificato, abbondante, fragoroso, esplosivo. Era quasi tutto un orgasmo attaccato all'altro, o forse da bambini tutto è stupore, si sa. Da quando partivi in treno a quando finiva la partita, momento in cui subentrava una nostalgia da toglierti il respiro, da capire che una settimana doveva cominciare e quindi andare a scuola, una cosa odiosa, non me ne fregava una cippa, come ricominciare una settimana ogni settimana. Che grandiose Palle! Perché questo bisogno di darci delle date? Ore? Momenti? Programmare. Io preferisco la Libertà! 


Lentamente, la fiesta parea sfumar

MA LUNEDI' NON DEVE ESSERE IL GIORNO del ripensamento, deve essere considerato un giorno allegro come il venerdì, altrimenti ci tiriamo le seghe da soli, ci vuole così poco. Non dare retta agli orologi. Ci s'incontrerebbe di notte in centro, o al parco alle 3 di notte: "sarebbe un mondo diverso, ma fatto di sesso chi vivrà vedrà" (script Rino Gaetano). L'amore materno da parte paterna che ti da una Curva, è come Napoli in agosto è come Parigi a maggio, mi ricorda Pescara in aprile. Ma la lotta più dura era: in quale settore dello stadio andare? Io preferivo sempre la curva degli ospiti, perché m’incuriosiva vedere i tifosi delle squadre di altre città: Juventus, Milan, Inter, Genoa, Cagliari, Bologna, Verona.
In quale curva andare? 

PORCA PUTTANA, SI TORNA A CASA, ERA IL MIO PENSIERO FISSO. SI RIENTRAVA NELLA REALTA'. IO E MIO BABBO, PUNTUALMENTE, TORNAMMO A GUARDARCI IN CAGNESCO
MIO BABBO, AL CONTRARIO DI ME, preferiva frequentare la curva del Cesena, ma alla fine me le dava quasi tutte vinte. La tifoseria più violenta risultarono i sampdoriani, cazzo, li ammiravo, avevano i coltelli, decisi, incazzati, in coro perfetto, ottimi urli. Pochi ma tosti e i cesenati, zitti! Le radioline accese, i gol che arrivavano dagli altri campi e non capivi cosa fosse successo, e ti chiedevi, ma perché, cosa è successo? Perché quel brontolio esagerato? Poi gli altri gli davano una mano e capiva. Esplosioni improvvise apparentemente immotivate perché accadevano altrove, in un altro stadio. Mi spiego meglio. Metti che improvvisamente si senta un boato tremendo e in campo non è successo nulla. Allo stadio di Cesena non è successo nulla, ma l’Inter a Milano aveva segnato contro l’Avellino che lottava col Cesena per non retrocedere in serie B, e ciò ci dava una mano a restare in serie A. La notizia arrivata attraverso le radioline faceva scoppiare stadio senza che fosse successo nulla. Cose pazze, ma semplici, "felliniane" e tutti i suoi "amarcord". Vedere la gente che gioiva senza che apparentemente non fosse successo nulla è qualcosa d'impagabile, di stupefacente, di grazia immortale. E' qualcosa che sembra siano tutti fuori di testa, su di me la questione ebbe una grande potenza, suggestiva e profonda sentivo che non eravamo solo allo stadio, il resto mettetecelo voi. In questi casi scoppiavano dei boati impetuosi come le tensioni che c'erano dietro, il nervosismo di una settimana e lo sfogo domenicale. Allora tutti a chiedere "cos'è successo?", "Ha segnato il Bari?", "Ha pareggiato il Como?". "E' rigore per il Verona". "E l'Avellino?". Che movimento d'onde attraverso quelle antennine incollate alle orecchie. I coriandoli, carta igienica, botti, tamburi, bidoni dove menarci sopra, bombolette simili ad uno spray che emettevano suoni assordanti. Era la savana per i miei occhi, quelli di un bambino che giocava sulla strada tutto il giorno a scorticarsi ginocchia, gomiti, gambe. Giocavo in porta, e portiere lo sono rimasto tutta la vita, altro che Buffon. La mia prima porta erano i due tombini delle fogne tra i quali mi tuffavo pensando di essere su di un campo d'erba e le macchine erano pochissime e disegnavano il perimetro del campo. La mia percezione era quella di ritrovarmi in mezzo ad un evento epocale, ad ogni partita mi sembrava che il mondo quel giorno passasse da lì. Partecipare insieme a tanta altra gente ad un grande avvenimento, finalmente in pace con mio babbo, era come toccare l'apogeo del cielo più lontano dalla terra per eclissarsi da essa e sparire come David Bowie in "Space Oddity". 



Un bacio, HIDALGO ALVAREZ
MA ANCORA LA SAMBA NON ERA FINITA. C’era infatti il viaggio di ritorno in treno e si trovava sempre qualcuno con cui scambiare le opinioni proprie sulla partita appena vista, tanto quel treno a quell’ora era "gonfio" di tifosi che tornavano nelle varie città e campagne romagnole dallo stadio Manuzzi. La fiesta era finita un po per tutti e una settimana di lavoro o studi, minacciava l'arrivo. Nel 2005, Alvaro, è morto. Abbiamo avuto un momento di ripresa, pochi giorni prima della sua morte. Di notte ci trovavamo su di una brandina rubata in un bagno balneare di Rimini. Seduti uno accanto all’altro, mogio, rispettosi anche del respiro altrui, scorati a raccontarci l'intimità che non eravamo mai stati di confidarci in 45 anni. M'accorsi che mio babbo stava davvero molto male e anche lui lo capì, capiva che era questione di ore. A quel punto non ero più un bambino e lui sapeva del mio intuire, questa combinazione sciolse anche le incrostazioni più resistenti durate decenni. Eravamo, senza enfasi o retorica, un corpo solo, una tristezza infame che ci assemblava attorno ai pochi istanti rimasti. Dopo anni a farci la guerra, sapevamo che avevamo rimasto poco, e volevamo sfruttare al meglio quello che il Signore ci aveva lasciato per dare una svolta alle nostre esistenze, così unite in quel frangente, da sentirsi compartecipi di tutto. Perché il sogno di ogni amore è che il miracolo non abbia mai fine. Forse è solo una promessa, ma una promessa "sacra" è molto più potente di un sogno. Dio mio, babbo, quanto mi manchi.